3. La sconfitta

Il 30 giugno, riconoscendo quanto la loro situazione fosse senza speranza, i leader della Repubblica Romana ordinarono che cessassero tutti gli sforzi di difesa. Il 3 luglio le truppe francesi marciarono verso il centro della città mentre Garibaldi e il suo disordinato esercito scappavano a nord. Siccome Mazzini e gli altri leader della Repubblica stavano cercando di fuggire, si rivolsero ancora una volta a Nicholas Brown, che avrebbe fornito i passaporti americani per molti di loro1Tra questi vi era il membro del triumvirato Aurelio Saffi, il quale dichiarò di aver ricevuto un passaporto americano da Brown in una lettera scritta il 18 luglio 1849 (Saffi 1899, vol. 4, p. 123)..

Tra i documenti più rilevanti del fondo Nicholas Brown c’è anche questa lettera del 2 luglio indirizzata a Brown, scritta in francese, da parte di Giuseppe Avezzana (egli stesso cittadino americano), ministro della Guerra della Repubblica Romana, che chiedeva cinque passaporti americani. Si tratta di uno degli ultimi documenti a recare il timbro della Repubblica Romana2In effetti, Avezzana era vissuto a New York tra il 1834 e il 1848, quando scoppiò la rivoluzione in Italia (Lerro 1962)..

Due giorni dopo, Pietro Roselli, comandante militare dell’esercito della Repubblica Romana, scrisse una supplica diretta al “Senatore Cittadino” di Roma, con una più estesa richiesta a Brown e alla sua controparte inglese, John Freeborn. «Per vedere di fare il maggior bene che si può a tutti quei militari che non possono, senza pericolo tornare alle loro case, io la pregherei di mandar subito persona dai Consoli Inglese e Americano, ad oggetto di somministrare ad essi li passaporti verso i luoghi in cui possono viver meglio, e star con più sicurezza»3La lettera del Comando Generale dell’Armata, Repubblica Romana, firmata da Roselli e datata «Roma 4 luglio 1849» si trova nel fondo Nicholas Brown.. Dal momento che questa lettera è stata rinvenuta tra le carte di Brown, ciò significa che il Senatore mandò in effetti gli emissari richiesti4La lettera porta il timbro del «Comando Generale dell’Armata» ed è indirizzata «Al Cittadino Senatore di Roma»; si trova nel fondo Nicholas Brown..

Nel fondo Nicholas Brown si trovano anche due biglietti, scritti in inglese, indirizzati dalla contessa Cristina Belgiojoso a Nicholas Brown il 6 luglio. Uno di questi chiede il passaggio gratuito su una nave americana per due fratelli appartenenti a una famiglia italiana di Tunisi che avevano combattuto per la Repubblica Romana e ora stavano cercando di tornare indietro. L’altro è poi particolarmente prezioso, perché getta nuova luce sulla stessa Belgiojoso: il suo appunto accompagna alcune lettere che lei chiede a Brown di spedire per suo conto. La Belgiojoso aggiunge maliziosamente: «Suppongo che al generale Oudinot [capo delle truppe francesi che avevano appena conquistato Roma] piacerebbe dare un’occhiata alle mie lettere, e vorrei evitare che questo accada». L’indirizzo del mittente in queste due lettere è particolarmente inaspettato: «Quirinale», il palazzo che era stato la sede di Pio IX fino a quando non era stato sequestrato dai rivoluzionari. Al tempo in cui la contessa stava scrivendo queste lettere era stato infatti occupato dal comando francese5Vedi Documento n. 5 in “SELEZIONE DI DOCUMENTI DAL FONDO NICHOLAS BROWN, JOHN HAY LIBRARY, BROWN UNIVERSITY”: Belgiojoso a Brown, 6 luglio 1849, fondo Nicholas Brown..

Ma la lettera sicuramente più degna di nota, tra quelle inviate dalla Belgiojoso e trovate nel fondo Nicholas Brown, è una priva di data ma probabilmente scritta tra il 4 e il 6 luglio 1849. Come nel caso delle altre presenti in questo archivio, gli storici italiani sembrano ignorarne l’esistenza. Scrive in italiano:

Sig. Console,
Conoscendo le raccomandazioni a lei fatte dal Generale Garibaldi e fidando nell’onore e nei principi della nazione che Ella rappresenta, pongo tutti i feriti nella Guerra della Indipendenza Romana, sotto la protezione di quei principi medesimi.
Salute e fratellanza.
Cristina Trivulzio di Belgiojoso
6Fondo Nicholas Brown, Brown University.

Questo messaggio è di grande interesse per molteplici motivi, non ultimo perché si tratta dell’unica prova che abbiamo del rapporto diretto tra Brown e Garibaldi.
La parte finale del dramma romano di Nicholas Brown ebbe luogo all’inizio della serata del 6 luglio, quando le truppe francesi fecero irruzione nella sua residenza. I fatti non sono definitivamente accertati. Nel colorito racconto di Margaret Fuller, quando i francesi entrarono, «Mr. Brown, la bandiera in una mano e la spada nell’altra, respinse l’assalto e […] li condusse al piano inferiore […] poi fece loro un appassionato discorso, in una lingua che me- scolava inglese, francese e italiano […] La folla applaudì con veemenza Mr. Brown, che già era molto amato per l’aperta simpatia che aveva mostrato nei confronti dei romani […] Egli poi indossò l’alta uniforme, e andò da Oudinot a presentare le sue rimostranze ufficiali»7Datata 8 luglio 1849 (Fuller 1856, p. 416)..

Cass, chargé d’affaires americano, però, fornì un resoconto assai differente. Era vero, scriveva, che venti soldati francesi avevano fatto irruzione nella casa di Brown, ma la loro azione era ben comprensibile. Infatti, mentre stavano superando la residenza dei Brown, i soldati francesi erano stati scherniti dai loro servitori. «In base alla mia conoscenza dell’abituale condotta dei servitori di Mr. Brown», riferì Cass a Washington, «non nutro il minimo dubbio che il loro comportamento sia stato quello descritto. Nelle vicinanze del Consolato infatti la loro maleducazione e arroganza […] erano da tanto tempo ben note»8Cass a Clayton, 8 luglio 1849 (Stock 1933, pp. 46-48)..

Poche ore dopo questo incidente, Nicholas Brown fece i bagagli e con la moglie e i figli si imbarcò su una nave diretta a Genova. Ma anche questa partenza si rivelò drammatica e ancora una volta provocò una protesta da parte di un collega diplomatico americano in Italia. Brown arrivò a Genova il 9 luglio insieme a numerosi veterani della Repubblica Romana, posti sotto la sua protezione. Degno di nota tra costoro è Pietro Sterbini, uno dei capi della rivolta contro il pontefice e sospetto mandante dell’assassinio di Pellegrino Rossi. Poiché Sterbini era considerato persona non grata anche nel Regno di Sardegna, di cui Genova faceva parte, Brown viaggiò verso la capitale, Torino, al fine di ottenere la garanzia di un passaggio sicuro al di fuori del paese per Sterbini e i suoi colleghi. Il console degli Stati Uniti a Torino, sgomento per le azioni di Brown, scrisse in merito una dettagliata lettera di denuncia a Washington:

Mr Brown, nostro console a Roma, è arrivato a Torino con il suo seguito, tra cui era presente anche il famigerato Sterbini, sotto le mentite spoglie di un domestico. Mr Brown ha fornito passaporti americani ai politici fuggiaschi da Roma al momento dell’ingresso dell’esercito francese, molti dei quali sono arrivati nel porto di Genova; ma, nonostante l’evidente inclinazione di quel governo a tenere in ogni debita considerazione il sigillo degli Stati Uniti, non poteva certo ammettere il diritto di queste persone dal carattere più che dubbio, a tutti gli effetti di rivendicare in virtù di esso il riconoscimento di risiedere sul suolo sardo. Venne pertanto rifiutato il loro ingresso, nonostante i passaporti americani che, a rigore, non sarebbero dovuti entrare in possesso di persone che non potevano essere protette9Nathaniel Niles a John Clayton, Torino, 10 agosto 1849, in Marraro 1964, p. 126. Il segre- tario del Papa, cardinal Antonelli in persona, a fine luglio denunciò il coinvolgimento di Brown nel facilitare la fuga di molte figure di spicco della Repubblica Romana (Virlogeux 2001)..

Tuttavia gli sforzi di Brown, sebbene non apprezzati dal console americano a Torino, non furono vani. Alcuni indizi in merito sono ora individuabili nelle carte conservate nel fondo Nicholas Brown. Arrivato a Torino, Brown scrisse al primo ministro, Massimo d’Azeglio, in favore dei rifugiati e la risposta di d’Azeglio si trova in queste carte:

Ho presentato al consiglio de’ Ministri la memoria che V.S. m’indirizzava quest’oggi. Il Consiglio considerando la triste posizione in cui trovansi molti Italiani profughi, ha determinato di mandare immediatamente in Genova una persona incaricata di provvedere alle attuali emergenze. Io spero che V.S. vedrà in questo atto una testimonianza della viva simpatia destata in noi dalla infelice sorte di tanti Italiani, e scorgerà il nostro sincero desiderio di fare per loro tutto ciò che permettono le circostanze10Vedi Documento n. 6 in “SELEZIONE DI DOCUMENTI DAL FONDO NICHOLAS BROWN, JOHN HAY LIBRARY, BROWN UNIVERSITY”: Massimo d’Azeglio a Brown, 12 luglio 1849, fondo Nicholas Brown..

Grazie a Nicholas Brown, Pietro Sterbini e i suoi compagni, invece di languire nelle prigioni del papa, o peggio, trovarono la via dell’esilio all’estero.
Brown stesso partì per la Svizzera, dove ricevette una lettera tardiva, che avrebbe dovuto avere a Roma, spedita il 3 agosto da Comacchio e scritta da Carlo Carli, il quale si autodefinisce vice console americano. Raccontava dell’arrivo di Garibaldi la notte tra il 2 e il 3 agosto con cinque o seicento dei suoi uomini in una flottiglia improvvisata di quindici o venti piccole barche da pescatore e traballanti barche a vela che fuggivano l’armata austriaca11La lettera di Carlo Carli si trova nel fondo Nicholas Brown e contiene una dettagliata
descrizione degli eventi.
.

Mentre Garibaldi sarebbe miracolosamente riuscito a scappare, la moglie Anita sarebbe morta il giorno seguente e la maggior parte dei suoi uomini sarebbe stata presto catturata oppure giustiziata dalle truppe austriache, come lo furono il monaco barnabita Ugo Bassi e l’eroe popolare romano Ciceruacchio con i suoi due figli.

Anche se la Repubblica Romana è ormai caduta e Brown non fa ritorno a Roma, negli anni successivi avrebbe continuato a tenere i contatti e a sostenere i leader repubblicani che aveva conosciuto durante quei giorni esaltanti tra il 1848 e il 1849. Mentre si trova a Ginevra, nell’agosto del 1849, Brown viene a conoscenza di una lettera che Francisque Corcelle aveva scritto al governo francese da Roma. Corcelle era l’inviato personale di Tocqueville a Roma e presso il papa e la sua lettera era stata pubblicata di recente dalla stampa europea. In quello scritto, Corcelle insisteva sul fatto che le truppe francesi non avevano mai bombardato Roma. Piuttosto, diceva, i francesi avevano attentamente limitato il loro fuoco alle mura della città con l’obbiettivo di aprire una breccia. Tra i documenti di Brown si trova una bozza, scritta in francese, di una accesa lettera per Corcelle: «Ho l’onore di informare Sua Eccellenza che, in qualità di Console degli Stati Uniti d’America a Roma, ho firmato la petizione presentata al generale Oudinot per fermare il bombardamento della città di Roma». In quanto testimone oculare degli eventi e godendo della credibilità dovuta a un rappresentante ufficiale del governo americano, Brown voleva confutare la versione francese degli avvenimenti, cioè la storia di un attacco “chirurgico” a Roma12La bozza di Brown è datata 8 agosto, «Ginevra, Svizzera», e indirizzata all’ambasciatore Corcelles (nonostante il nome corretto fosse Corcelle, uno sbaglio comune) (fondo Nicholas Brown)..

Uno dei più curiosi indicatori dei continui contatti di Brown con Mazzini trovato tra le sue carte è una lettera che Mazzini scrisse, indubbiamente su richiesta di Brown, per conto della signora Brown. La lettera era indirizzata alla scrittrice George Sand, a Nohant in Francia, e redatta da Mazzini in francese: «Una mia cara amica, la Signora Brown, un’americana, desidera incontrarti. È una donna buona e indipendente. Ama la nostra causa…». La data riportata da Mazzini sulla lettera è 9 settembre 1849 e rivela che il profeta del Risorgimento si trovava nella stessa città di Brown, dove presumibilmente erano in contatto13Il fatto che la lettera di Mazzini fosse indirizzata a George Sand a Nohant è confermato dalla busta, anch’essa nell’archivio Nicholas Brown. La missiva si chiude con «il vostro amico devoto, Giuseppe Mazzini»..

Le carte di Brown contengono anche lettere di Mazzini che mostrano la speranza, negli anni immediatamente successivi alla sconfitta della Repubblica Romana, che Brown continui a perorare la sua causa. Infatti questo è esattamente quello che Brown fece in vari modi, compreso, nel 1851, l’acquisto di titoli emessi dal Comitato Nazionale Italiano, firmati da Mazzini e, tra gli altri, dal triumviro in esilio Aurelio Saffi14Due di questi titoli si trovano tra le carte di Nicholas Brown, entrambi datati 1 ottobre 1851; uno corrisponde alla cifra di 25 franchi e l’altro a 100 franchi. I certificati recano la seguente intestazione: «Dio e Popolo … Italia e Roma … Prestito Italiano Nazionale Diretto unicamente ad affrettare l’indipendenza e la libertà d’Italia»..

Brown rimase in Europa negli anni seguenti, viaggiando a Nizza, Barcellona, Madrid e Parigi. Anche la moglie Caroline Clements Brown viaggiò per proprio conto in Europa; sappiamo che durante un viaggio a Napoli fu sospettata dalla polizia di avere contatti con gruppi radicali. Nel 1853 i Brown tornarono in Rhode Island, dove Nicholas Brown riprese a litigare per la sua eredità con gli altri membri della famiglia. Offeso dal fatto che diverse proprietà di famiglia non gli erano mai state assegnate, Brown fece costruire una sfarzosa villa in stile italiano su 200 acri di terreno sul mare vicino a Providence. Le sale erano esageratamente grandi, con tappezzeria inglese dipinta a mano e il grande giardino era decorato con piante esotiche.

Nel 1854, un anno dopo essersi trasferito nella sua nuova dimora, Brown entrò a far parte del partito anti-cattolico dei Know Nothings che era stato fondato circa dieci anni prima in reazione alla massiccia immigrazione di irlandesi in fuga dalla Grande Carestia. Il partito sosteneva che era in atto una cospirazione “romana” che avrebbe imposto restrizioni sui diritti civili e sulla libertà di religione negli Stati Uniti. Secondo i membri del partito, combattere questa cospirazione era un dovere di tutti i protestanti nativi americani. Due anni dopo l’ingresso di Brown nel partito, il governatore del Rhode Island lo nominò vice governatore, una posizione che Brown manterrà soltanto per un anno, quando venne eletto un nuovo governatore nel 1857. Questa sarà l’unica carica governativa ricoperta da Nicholas Brown nel corso della sua vita, a parte i quattro anni come console americano a Roma.

Su entrambe le coste dell’Atlantico, Brown si proclamò sempre, fino alla morte avvenuta nel 1859 all’età di 66 anni, difensore degli ideali repubblicani americani contro i poteri retrogradi del papato15Questi dettagli si trovano in Sylvia Brown 2017..