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Assieme a Novara, Mikołaj Kopernik, a noi noto come Niccolò Copernico, avrebbe compiuto due osservazioni astronomiche: l’occultazione lunare di Aldebaran, la stella più luminosa della costellazione del Toro, avvenuta il 9 marzo del 1497 e la congiunzione fra la Luna e Saturno, verificatasi il 4 marzo del 1500, che considerò talmente importanti da citarle nel ventisettesimo capitolo del quarto libro di quel suo De revolutionibus orbium coelestium, che avrebbe visto la luce in forma di stampa circa 40 anni dopo, proprio nel giorno in cui l’autore si sarebbe congedato da questo mondo terreno.

Novara, che aveva compreso di quali straordinarie capacità fosse dotato il suo giovane allievo, lo incoraggiò a dedicarsi pienamente a quella che era già una sua passione: l’astronomia. Talmente bravo risultò Copernico in quel campo che, terminati gli studi a Bologna nel settembre del 1500, venne invitato a svolgere alcune conferenze di astronomia a Roma, una delle quali in presenza dello stesso papa, Alessandro VI.
Rientrato in Polonia nel 1501, il giovane ottenne quasi immediatamente la nomina a canonico di Frombork, un’attività che tuttavia non poteva soddisfare in alcun modo una mente desiderosa di conoscere i segreti della meccanica celeste, come era la sua, così, approfittando del fatto che a Bologna non aveva completato il percorso di studi necessario per l’ottenimento del titolo di dottore in diritto canonico, chiese il permesso di tornare in Italia.

Nel 1503, ottenuto il suddetto titolo all’Università di Ferrara, Copernico non ebbe più la possibilità di rimanere nel nostro paese e si vide costretto a rientrare a Frombork. Qui continuò ad affiancare alla professione di canonico lo studio per l’astronomia, finché, in un periodo compreso fra il 1508 e il 1514, riuscì a dare forma scritta a un’idea nuova e rivoluzionaria: un modello in cui non era più la Terra a essere al centro del Cosmo, ma il Sole.
Il manoscritto di Copernico era un breve trattato che portava un titolo piuttosto lungo: De hypothesibus motuum coelestium a se constitutis commentariolus. In questo testo che, proprio a causa della lunghezza del titolo, sarebbe divenuto noto come il Commentariolus, l’astronomo polacco, oltre ad anticipare al lettore che si stava dedicando alla stesura di un’opera molto più ampia, delineava le caratteristiche principali del suo modello, giustificandone anche la ragione: ponendo il Sole al centro e lasciando solamente la Luna a orbitare attorno alla Terra, era riuscito a eliminare gli equanti, artifici che considerava inaccettabili.

Nel 1514, il Commentariolus cominciò a circolare entro una cerchia ristretta di studiosi che coinvolse via via un maggior numero di lettori e, contrariamente a quanto l’autore pensava e temeva, le reazioni furono tutte positive. Finanche l’arcivescovo di Capua, Nikolaus von Schönberg, venuto a sapere dell’esistenza di un trattato che annunciava un modello di Universo più semplice e formalmente molto più elegante di quello di Tolomeo, avrebbe contattato Copernico per chiedergli una copia del suo manoscritto, ma questi, temendo una reazione ostile della Chiesa, non solo non glielo inviò, ma decise che non avrebbe mai dovuto pubblicare il suo lavoro.

Copernico aveva compreso molto bene a quali rischi sarebbe andato incontro chi avesse osato mettere in discussione una convinzione radicata da millenni, sostenuta con forza dalla Chiesa e non provabile sperimentalmente in alcun modo: tutto, a eccezione delle difficoltà nel riprodurre i moti dei pianeti, lasciava supporre che la Terra fosse ferma e il Sole le girasse attorno e l’unica autorevole voce, quella di Aristarco, che si era levata nel lontano passato a sostegno di un’ipotesi alternativa, che vedeva il Sole al centro e non la Terra, era stata completamente ignorata dalla storia.
Copernico ultimò comunque l’opera più ampia, costituita da sei Libri, che aveva annunciato nel Commentariolus, ma decise di tenerla, per così dire, metaforicamente “chiusa nel cassetto”.

Nel 1539, Georg Joachim von Lauchen (meglio noto come Georg Joachim Rheticus), un giovane matematico e astronomo dell’Università di Wittenberg (cittadina tedesca che sarebbe passata alla storia per aver dato l’avvio alla riforma protestante il 31 ottobre del 1517), decise di recarsi a far visita a Copernico per poterlo conoscere personalmente.
Il “Retico” aveva letto il Commentariolus e ne era rimasto totalmente affascinato. L’incontro col maestro soddisfò così pienamente le sue aspettative che egli decise di fermarsi a Frombork per un po’ di tempo, in modo da poter studiare in dettaglio il modello eliocentrico e, al termine di quel soggiorno, riuscì addirittura a strappare a Copernico il permesso di pubblicare a Danzica un breve estratto della sua teoria.
Non è dato sapere il motivo per cui Copernico si lasciò convincere dal Retico. Probabilmente, si trattò di un insieme di ragioni che concorsero a questo risultato. Al grande entusiasmo mostrato dal suo allievo si unì, forse, la consapevolezza di Copernico di non aver più nulla da temere, avendo ormai raggiunto i 67 anni, un’età più che avanzata per l’epoca, e non ultima la soddisfazione di poter dare forma a un lavoro per il quale egli, da scienziato degno di tale nome, aveva speso la propria vita, con la speranza di riuscire a spingere oltre gli angusti limiti, che all’epoca venivano considerati invalicabili, le sue capacità di ragionamento.

Così, nel 1540, il De libris revolutionum Copernici narratio prima, il cui autore, Georg Joachim Rheticus, rimase anonimo, venne dato alle stampe. L’assenza di controversie che seguì l’edizione di questo testo indusse Copernico ad affidare al Retico la pubblicazione della sua opera intera. Recatosi a Norimberga proprio per questo scopo, Georg Joachim venne però raggiunto dalla notifica di un incarico di insegnamento, che gli era stato assegnato dall’Università di Lipsia e, pertanto, si vide costretto ad affidare ad altri la cura della pubblicazione e la sua scelta ricadde su Andreas Osiander, teologo e scienziato di fede luterana, come del resto era anche il Retico.
Non è chiaro il motivo che spinse Osiander a far precedere il lavoro di Copernico da una prefazione, scritta di suo pugno, ma che lasciò volutamente anonima, intititolata Ad lectorem de hypothesibus huius operis: forse si trattò semplicemente dell’espressione della sua personale convinzione a favore del sistema geocentrico. La prefazione di Osiander, infatti, tendeva a sottolineare che l’eliocentrismo era solo un’ipotesi matematica, funzionale alla facilitazione dei calcoli relativi al moto dei pianeti, e non una descrizione della reale natura dell’Universo, ma, non essendo firmata, lasciò sottintendere che potesse essere opera dello stesso Copernico. Così, se da un lato ebbe indubbiamente un effetto mitigatore sulla rivoluzionarietà del risultato, dall’altro mise Copernico sotto una luce ambigua e di fatto oscurò la straordinarietà del suo lavoro.

In realtà, chi avesse letto con attenzione il De revolutionibus orbium coelestium non avrebbe avuto dubbi su quella che era la posizione di Copernico e la stessa dedica, che l’autore aveva voluto inserire in forma di prefazione, indirizzata a papa Paolo III mostrava chiaramente quali passi l’ideatore di quel nuovo modello avesse dovuto compiere per abbandonare la concezione geocentrica in favore di quella eliocentrica.
I lettori del De revolutionibus, tuttavia, erano probabilmente molto più interessati all’aspetto tecnico del risultato, ovvero alla possibilità di poter trarre delle tavole sulle posizioni previste dei pianeti che si rivelassero più accurate di quelle desumibili utilizzando il modello di Tolomeo, piuttosto che alla veridicità del modello eliocentrico e alla straordinaria innovazione che lo stesso costituiva, avendo spostato il centro dell’Universo dalla Terra al Sole. Uno di questi, infatti, sarebbe stato Erasmus Reinhold, rettore dell’Università di Wittenberg, che avrebbe utilizzato il lavoro di Copernico esclusivamente per pubblicare nel 1551 le “tavole pruteniche”, note anche come “tavole prussiane”, così chiamate in onore di Alberto I, duca di Prussia, che ne avrebbe finanziato la realizzazione.

Nelle intenzioni di Reinhold, le nuove tavole avrebbero dovuto rimpiazzare le “tavole alfonsine”, volute da re Alfonso X, detto el Sabio, circa 300 anni prima e realizzate utilizzando il modello di Tolomeo. Le “tavole alfonsine” erano state revisionate e aggiornate, nel corso degli ultimi anni, da diversi astronomi e queste operazioni si erano rese necessarie a causa dell’imprecisione del modello di Tolomeo, che induceva, col trascorrere degli anni, un aumento progressivo delle differenze tra le posizioni predette e quelle osservate dei pianeti.
Lo stesso Cristoforo Colombo si era servito di una revisione aggiornata delle “tavole alfonsine” effettuata da Abraham Zacuto, astronomo ebreo che, per ironia della sorte, sarebbe stato costretto a lasciare la Spagna a seguito del “decreto dell’Alhambra”, emanato dai sovrani cattolici Isabella di Castiglia e Ferdinando II d’Aragona proprio nell’anno della scoperta dell’America.

In realtà, quello in cui sperava Reinhold non avvenne, in quanto le “tavole pruteniche” sarebbero state utilizzate solamente nei paesi di fede luterana, mentre le “alfonsine” avrebbero continuato a essere usate nei paesi cattolici. La spaccatura dell’Europa, provocata dall’affermarsi della Riforma protestante (1517-1555), dallo Scisma anglicano (1534), dal Concilio di Trento (1545-1563) e dalle innumerevoli guerre di religione che ne sarebbero scaturite per diverso tempo, avrebbe avuto il suo effetto persino sull’astronomia, nonostante anche i luterani si fossero dimostrati, come i cattolici, fortemente contrari a un sistema di Universo che confutava quanto era riportato nella Bibbia, o più precisamente nel Libro di Giosuè (10:12,13):

Quel giorno, quando il Signore diede a Israele la vittoria sugli Amorrei, Giosuè pregò il Signore e gridò alla presenza di tutti gli Israeliti:

“Sole, fermati su Gabaon!
e tu, luna, sulla valle di Aialon!”
Il sole si fermò,
la luna restò immobile,
un popolo si vendicò
dei suoi nemici.