CAPITOLO 8

LA DIFFICOLTÀ DI VIVERE IN UN UNIVERSO TROPPO GRANDE

Oreste sentirebbe ancora gl’impulsi della vendetta, vorrebbe seguirli con smaniosa passione, ma gli occhi, sul punto, gli andrebbero lì, a quello strappo, donde ora ogni sorta di mali influssi penetrerebbero nella scena, e si sentirebbe cader le braccia. Oreste, insomma, diventerebbe Amleto. Tutta la differenza, signor Meis, fra la tragedia antica e la moderna consiste in ciò, creda pure: in un buco nel cielo di carta.

(Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal, 1904, capitolo XII)

PAROLE CHIAVE
Novecento / Io / Cosmo

Il celebre romanzo di Luigi Pirandello offre al lettore due spunti di carattere astronomico molto interessanti: il primo è la maledizione di Copernico (cfr. Introduzione), con cui il protagonista si rivolge all’amico Don Eligio, che lo ha convinto a scrivere sotto forma di memorie la sua paradossale vicenda umana nella Premessa seconda (filosofica) a mo’ di scusa del romanzo; il secondo è il «buco nel cielo di carta» con cui si è scelto di aprire questo capitolo. A compiere questa seconda riflessione è Anselmo Paleari, pensatore eccentrico, presso cui Adriano Meis/Mattia Pascal ha trovato alloggio a Roma e il riferimento è, non a caso, a uno spettacolo di marionette, in cui sta per essere rappresentata una riduzione dell’Elettra di Sofocle.

Il dramma dell’uomo moderno nasce, secondo Pirandello, proprio dalla consapevolezza di non contare più nulla: il cielo non rappresenta più quell’ordine avvolgente, che ha protetto per secoli gli uomini, guidandoli nel loro cammino mortale e indicando loro la via che avrebbero dovuto seguire. Così, nel momento che segna il culmine del dramma di Oreste, che sta per uccidere la propria madre, questi, levati gli occhi al cielo, vi scorge un buco e, perse tutte le proprie certezze, diviene Amleto, l’incarnazione del dubbio.

Mattia Pascal ha accusato Copernico di averci aperto gli occhi «sulla nostra infinita piccolezza», ma in realtà non fu così, nonostante si sia soliti indicare come “rivoluzione copernicana” lo sconvolgente cambiamento di prospettiva, operato dallo scienziato polacco, che avrebbe definitivamente mutato la collocazione dell’uomo nell’Universo. È indubbiamente una definizione molto azzeccata, capace di sintetizzare in due sole parole la straordinarietà dell’innovazione portata da Copernico nel modo di concepire il mondo, che fu introdotta, per la prima volta, da Immanuel Kant nella Critica della ragion pura. Il grande filosofo tedesco, infatti, se ne volle servire per paragonare la propria scelta di aver posto l’uomo al centro del processo conoscitivo, ribaltando così il modo tradizionale con cui veniva considerata la conoscenza, con quanto, alcuni secoli prima, aveva fatto Copernico che, dopo aver riscontrato enormi difficoltà nel rappresentare adeguatamente i moti dei corpi celesti, assumendo che ruotassero attorno alla Terra, aveva deciso di cambiare radicalmente il punto di vista.

In verità, sorprendentemente, la “rivoluzione copernicana” non ebbe mai luogo, perché il cambiamento, lungi dall’essere immediato, fu un processo molto lento. L’opera di Copernico rimase per lungo tempo oggetto di analisi e discussione di una cerchia limitata di studiosi e uscì dall’oblio, in cui il corso degli eventi della storia l’aveva relegata, solo nel 1616, quando, per effetto del “caso Galilei”, venne inclusa dalla Chiesa nell’Indice dei libri proibiti. Anche allora, tuttavia, gli effetti di questa presunta rivoluzione furono molto limitati: gli uomini di scienza continuarono in gran parte a rimanere vincolati al sistema di Tolomeo e le persone comuni non vennero nemmeno messe a conoscenza del grande cambiamento operato dallo scienziato polacco. Del resto, su chi era costretto a condurre la vita con l’unico intento di fronteggiare quotidianamente le innumerevoli avversità di carattere pratico relative alla sussistenza e che, proprio per questa ragione, al centro dell’Universo non aveva avuto modo di sentirsi mai, la rivoluzione di Copernico non avrebbe comunque avuto alcun effetto.

Molto più sconvolgente e con un impatto quasi immediato sulle persone fu, invece, una rivoluzione astronomica che, paradossalmente, non viene mai ricordata, né citata al di fuori dell’ambiente accademico, in cui è nota come il “Grande Dibattito”, che si concluse agli inizi del XX secolo, dopo una ventina di anni di intense discussioni, con l’inequivocabile prova, portata da Edwin Hubble, dell’esistenza di innumerevoli galassie esterne, del tutto simili alla nostra. Proprio da essa avrebbero avuto origine il radicale cambiamento del modo di concepire l’Universo e l’inizio di un processo irreversibile, che avrebbe reso gli uomini sempre più piccoli.

È interessante notare che quando Pirandello scrisse Il fu Mattia Pascal, il “Grande Dibattito” stava avendo luogo. Non è possibile sapere se lo scrittore siciliano fosse a conoscenza della discussione che stava animando la comunità astronomica e abbia inconsciamente attribuito a Copernico una colpa che sarebbe stata, di lì a pochi anni, di un astronomo della sua epoca. Quello che è certo è che, a differenza di quanto era avvenuto 400 anni prima, la diffusione delle notizie che riguardavano le scoperte scientifiche era già molto ampia, agli inizi del secolo passato, e coinvolgeva anche i “non addetti ai lavori” e, pertanto, non si può escludere che Pirandello abbia avuto qualche informazione al riguardo.

Appena pochi anni dopo aver dimostrato la natura extragalattica della nebulosa di Andromeda, lo stesso Edwin Hubble avrebbe trovato la relazione che lega la velocità di allontanamento delle galassie alla loro distanza, che sarebbe risultata interpretabile soltanto assumendo un evento, il cosiddetto Big Bang, avvenuto in un passato talmente remoto da essere difficile da immaginare – 13,8 miliardi di anni fa – attraverso cui avrebbe avuto origine, oltre che l’Universo, anche lo spazio-tempo.

Una ventina di anni prima che Hubble, con una manciata di galassie, mostrasse l’esistenza della relazione, a cui sarebbe stato successivamente attribuito lo status di “legge”, con affiancato il suo cognome, Albert Einstein aveva pubblicato una teoria del tutto innovativa – la relatività ristretta – in cui aveva mostrato come il tempo, che già Galileo, nel Dialogo, aveva considerato una quarta coordinata da aggiungere alle tre con cui siamo soliti definire lo spazio, non fosse uguale per tutti i sistemi che si muovono di moto rettilineo uniforme (e che in termini scientifici, sono chiamati “sistemi inerziali”), come aveva ritenuto Galileo, ma variasse in funzione della velocità che un sistema poteva avere rispetto a un altro. Con Einstein, quindi, il tempo, considerato fino ad allora un’oggettiva certezza, era divenuto una grandezza relativa.

È singolare che la pubblicazione de Il fu Mattia Pascal sia avvenuta appena un anno prima della pubblicazione della teoria della relatività ristretta di Einstein e questa quasi contemporaneità di eventi, che avrebbero dato grande fama e risonanza sia allo scrittore che allo scienziato, non passò assolutamente inosservata. Molti si chiesero se i due si conoscessero e si fossero influenzati a vicenda, anche se, a guardarlo bene, il relativismo di Pirandello è totalmente incentrato sulle problematiche dell’Io e non sembra avere nulla a che vedere con la sconvolgente teoria di Einstein. In realtà, Pirandello ed Einstein non si erano mai conosciuti, ma a seguito di questo essere stati accomunati, per aver affrontato entrambi, seppure da punti di vista assai diversi, il problema del relativismo, decisero di farlo e così si incontrarono alcune volte nelle città europee, che avrebbero ospitato le esibizioni teatrali delle opere del drammaturgo siciliano. Il loro rapporto, basato su cordiali scambi di opinione, si sarebbe tuttavia deteriorato a seguito del corso degli eventi della storia, che avrebbero visto lo scrittore siciliano aderire con entusiasmo al fascismo e lo scienziato tedesco, di origini ebree, abbandonare, invece, il proprio paese. L’ultimo incontro, non più troppo amichevole, tra i due sarebbe avvenuto nel campus universitario di Princeton nel 1935, a seguito di una trasferta statunitense del drammaturgo siciliano (fresco di premio Nobel per la Letteratura), durante la quale, nel corso di una conferenza stampa, egli avrebbe difeso, non senza incontrare aspre polemiche, la politica coloniale espansionistica del Governo italiano.

Tornando a Hubble, i suoi risultati sarebbero stati determinanti per far prendere all’Universo una piega del tutto nuova, che lasciava ben poco spazio all’uomo. Il Sole, non più al centro della galassia da diversi anni, ora non si trovava nemmeno a far parte di una galassia speciale e, ovunque gli uomini cercassero di volgere lo sguardo, l’Universo non faceva altro che rimandare loro indietro le immagini di enormi spazi pieni di vuoto.