APPENDICE

Scritture di origine composita o incerta

Scritture runiche e ogamiche1V. Elliott 1996 e McManus 1996; Looijenga 2020.

Sono chiamate rune le lettere di cui si servivano popolazioni germaniche da almeno il I-II secolo d.C.; sono usate comunemente fino al XIV secolo in tutta l’Europa centrale con diffusione a nord e nelle isole e con attestazioni anche più tarde, in particolare in Svezia come scrittura cifrata. Il termine è fatto derivare da un vocabolo germanico che significa “mistero”, a indicare il rapporto dei segni con funzioni e poteri magici (v. Sari 2020). La serie alfabetica si chiama futhark, dal nome dei primi sei segni che la compongono. Si ritiene che il sistema si sia formato in Danimarca, ma non ne è chiara l’origine. Da qui si è diffuso in Scandinavia e nei territori britannici. Nel periodo vichingo le rune si sono diffuse fino all’Islanda e alla Groenlandia (Elliot 1996, pp. 335-339, “Later developments”). I segni hanno aspetto allungato e angoloso e sono incisi su materiali vari: su pietra (iscrizioni funerarie) (Tav. 22), su pettini, anelli, fibbie, amuleti che imitano nella forma monete romane e sono chiamati bracteati (v. Axboe 2017).

Tav. 22. Cippo con iscrizione funeraria runica (XI secolo d.C.) (Svezia, Aeroporto di Stoccolma / Wikimedia Commons CC BY-SA 3.0).

L’alfabeto più antico comprende 24 segni che, negli alfabetari, sono distribuiti in tre serie di 8 lettere ciascuna. Raggiunge 33 segni nei territori britannici. Nella serie canonica, ogni lettera ha un nome che inizia con il valore fonetico corrispondente al suono rappresentato, secondo il principio acrofonico (ma i segni non sono figurativi). Fanno eccezione due segni che non si trovano mai all’inizio di parola. Il sistema scandinavo comprende solo 16 segni distribuiti in serie di 6 o 5 lettere. La scrittura è in generale da sinistra a destra, con qualche eccezione da destra a sinistra o bustrofedica.

Quanto all’origine della scrittura, alcuni studiosi hanno supposto che si trattasse di una variante corsiva della scrittura greca; altrimenti di quella latina. Attualmente si suppone che le rune derivino da una scrittura nord-etrusca, verosimilmente tramite una varietà diffusa nella regione alpina, forse la scrittura venetica (v. ad es. Prosdocimi 2003 [2004]).

La scrittura ogamica (Percivaldi 2006) – chiamata anche Beithe-luis-nin, dal nome del primo, secondo e quinto simbolo della serie –, nota da alcune centinaia di iscrizioni, è tipica dell’Irlanda; attestata soprattutto su epigrafi funerarie, spesso accompagnate da una versione latina, è tramandata anche da una tradizione manoscritta (Fig. 43).

Fig. 43. Scrittura ogamica nella tradizione manoscritta, con trascrizione contemporanea dei segni (Daniels, Wright 1996, p. 343, Fig. 53).

Iscrizioni ogamiche sono note anche in Cornovaglia, nell’Isola di Man, in Scozia e nel Devon; la loro cronologia è posta tra il V e il VII secolo, ma il sistema era conosciuto ancora nel Medioevo. I segni hanno, come nel caso delle rune, il nome di parole che iniziano con il suono che rappresentano; si tratta spesso, ma non in tutti i casi, del nome di alberi. I nomi antichi sono stati trasferiti alle lettere della scrittura attuale. La direzione della scrittura è per lo più, ma non sempre, bustrofedica, con la prima riga che inizia da sinistra. Le lettere delle iscrizioni sono 20, divise in gruppi di 5. Altri 5 simboli che indicano dittonghi sono attestati nei manoscritti. I segni sono costituiti da incisioni, generalmente rettilinee, ma vi sono anche simboli diversi, che si dispongono in varie combinazioni ai lati di una linea centrale, che, nelle epigrafi, è costituita da uno spigolo della pietra.

La scrittura è considerata ispirata dall’alfabeto latino, con una notevole libertà dei creatori del nuovo sistema rispetto alla sequenza latina e ai suoni rappresentati (McManus 1996, p. 341).

Scritture libico-berbere2Raccolta di testi: Chabot 1940; scrittura: Galand 1989; Camps 1996; Pichler 2007; Chaker 2008.

Sono chiamate libico-berbere (libiche o numidiche) le iscrizioni – più di 2000 – di diverse epoche dell’antichità, attribuite a popolazioni di lingue apparentate con le attuali parlate berbere. Le iscrizioni sono state rinvenute in un territorio vastissimo dell’Africa, nel Maghreb, soprattutto in Tunisia e Algeria, in minor numero in Marocco; alcune iscrizioni sono state individuate in Libia, inoltre numerosi graffiti sono attestati in una vasta area del Sahara; iscrizioni attribuibili alla stessa scrittura sono presenti nelle Canarie.

Le attuali lingue berbere sono parlate in un’area che comprende l’Africa del Nord dal Marocco all’Egitto, parte del Sahara e le regioni abitate dai Tuareg; la scrittura attuale, chiamata tifinagh, è considerata apparentata all’antica scrittura libica. Quest’ultima è divisa in tradizioni, con varianti, che sono state divise in orientale e occidentale; questa classificazione non è però considerata ora del tutto soddisfacente. Nell’ambito del Maghreb, dove la scrittura libica è usata specialmente da dinastie locali dopo la caduta di Cartagine, una posizione a parte ha la scrittura di Dugga – attestata in alcuni casi in bilingui con il punico o con il latino – scrittura che appare in parte influenzata da quella punica: è ad esempio organizzata, come quella di origine fenicia, in linee orizzontali, mentre generalmente le iscrizioni libiche hanno andamento verticale, dal basso verso l’alto (v. Galand 1973).

La serie libica comprende, nella varietà orientale, 24 segni. Le lettere hanno forme geometriche, sono staccate tra loro e non sono indicate le vocali. Da Dugga proviene l’iscrizione datata più antica che possediamo, una dedica in onore del re Masinissa (240-148 a.C.), fatta incidere nel decimo anno del figlio e successore Micipsa (138 a.C.). Altre iscrizioni, per lo più funerarie, sono di epoca romana (Fig. 44).

Fig. 44. Iscrizione funeraria latina e libica dalla regione di Cheffia (Algeria di nord-est) (Chabot 1940, p. 48, n. 193).

Un gruppo di incisioni rupestri dalla Cabilia (Algeria), dal Marocco meridionale e dalle Canarie, è di comprensione molto più incerta; anche l’attribuzione linguistica e la cronologia dei testi sono dubbie. Hanno una data più recente i graffiti del Sahara che sono in parte moderni.

L’origine e il periodo della formazione della scrittura libica sono tuttora poco chiari. La natura consonantica del sistema e la somiglianza di alcuni segni con corrispondenti lettere fenicie, ha indotto a proporne un’origine in rapporto con la scrittura fenicia e una formazione intorno al III secolo a.C. (Kerr 2010b); tuttavia l’ipotesi non è accettata unanimemente e si propende piuttosto di individuare nella scrittura libica una creazione basata su un fondo autoctono, che utilizza in alcuni casi simboli di origine preistorica; il sistema è attestato secondo alcuni già a partire dal VII-VI secolo a.C., probabilmente almeno dal V. La questione cronologica, come la decifrazione completa, necessitano ancora di ricerche e di uno studio analitico e complessivo di tutti i dati desumibili dai testi.

Scritture della penisola iberica3Untermann 1975, 1980, 1990, 1997; de Hoz 2010 e 2011; Velaza 2019; Ferrer i Jané – Moncunill 2019.

Le scritture antiche della penisola iberica, testimoniate anche nella Francia meridionale, sono molteplici. Oltre agli alfabeti fenicio e greco dei coloni e a quello latino diffuso con la conquista romana, sono testimoniate varie scritture locali, usate per lingue diverse. Da notare che non vi è coincidenza tra classificazione linguistica e uso di determinate scritture. Anche la denominazione attribuita dagli studiosi alle varietà grafiche non è del tutto concorde: prevale l’uso di chiamare le scritture in base ai territori di attestazione. La documentazione è posta tra il VII secolo a.C. e il I a.C. circa, con cronologie differenti secondo i gruppi di varietà grafiche.

Le lingue attestate si distinguono in tre gruppi: 1) celtiberico, lingua indoeuropea di tipo celtico (Beltrán Lloris, Jordán Cólera 2020); 2) iberico, lingua non indoeuropea (Moncunill Martí, Velaza Frías 2020); 3) lusitano, lingua non indoeuropea, diffusa nella bassa Andalusia e nel Portogallo meridionale.

Per il lusitano è usata la scrittura latina, impiegata anche in alcune iscrizioni in lingua celtiberica; una variante dell’alfabeto greco ionico, denominata greco-iberica, è usata per scrivere l’iberico nella zona di Alicante e della Mursia. Documenti in iberico o celtiberico usano altrimenti scritture locali, o paleoispaniche, che si dividono in due gruppi principali, settentrionale e meridionale, ciascuno con varianti specifiche. Le diverse scritture si caratterizzano tutte per la coesistenza di segni alfabetici e sillabici, i primi usati per le vocali e i suoni fricativi; i secondi usati per i suoni occlusivi. Una particolarità comune a varie scritture è l’uso di due varianti grafiche per uno stesso segno, la cui differenziazione fonetica rispetto al segno base non è sempre completamente chiarita: questi sistemi sono chiamati duali.

Appartengono al gruppo settentrionale la scrittura di nord-est o levantina e le scritture celtiberiche. La scrittura di nord-est (levantina) è la più diffusa ed è attestata in tutta la zona nordorientale della penisola iberica da più di 2200 iscrizioni che si datano tra V secolo a.C. e I secolo a.C. La direzione della scrittura è da sinistra a destra e solo in qualche caso da destra a sinistra. La scrittura celtiberica è attestata dal III secolo a.C. ed è un adattamento, secondo tempi e percorsi ricostruiti in modo specifico da J. de Hoz, della scrittura di nord-est (v. de Hoz 1986); presenta due varianti, orientale e occidentale, a seconda dell’annotazione delle nasali; è rappresentata da circa 200 iscrizioni concentrate all’interno della penisola. Presenta in alcuni casi il fenomeno duale e quello detto della ridondanza, per cui un segno sillabico è seguito dal segno vocalico già indicato dal sillabogramma.

Del gruppo meridionale fanno parte un insieme detto sud-orientale – o semplicemente meridionale –, un gruppo sud-occidentale, inoltre la così detta scrittura di Espanca e alcune varietà meridionali non chiaramente identificate. Il gruppo sud-orientale consta di circa 70 iscrizioni attribuite ai secoli IV-I a.C.; i testi, tutti brevi, esprimono una lingua iberica, non chiaramente definita: in particolare, non c’è accordo sul valore fonetico da attribuire ad alcuni segni. La scrittura di sud-ovest – detta anche Tartessica o sud-lusitana – è attestata tra il VII e il IV secolo a.C. da circa 100 iscrizioni che si concentrano nel Portogallo del sud e sono redatte in una lingua non identificata; anche in questo caso non tutti i segni sono interpretati concordemente. La scrittura, da destra a sinistra, comprende un ampio numero di segni (28) ed è caratterizzata dalla “ridondanza”, mentre non è presente il sistema duale. Infine, la così detta scrittura di Espanca è testimoniata da due serie alfabetiche di 27 segni che seguono per quanto riguarda i primi 13 l’ordine della serie fenicia (a differenza di altri alfabetari paleoispanici) (Ferrer i Jané, Moncunill 2019, pp. 21-24 che citano Correa 1993). Alcune iscrizioni, attribuite tra VII e II secolo a.C. e trovate in Andalusia, Estremadura e Portogallo sono difficilmente classificabili (Ferrer i Jané, Moncunill 2019, pp. 23-24).

La decifrazione della scrittura nel suo insieme è stata compiuta da M. Gomez Moreno tra il 1922 e il 1925. L’origine è dibattuta e sono avanzate diverse ricostruzioni. Alla base dei vari gruppi è posto l’alfabeto fenicio (alcuni studiosi individuano anche un ruolo del greco nell’annotazione delle vocali) che avrebbe dato origine a un paleoispanico comune poi differenziatosi nei diversi gruppi, con il celtiberico alla fine della catena; altrimenti la scrittura locale più antica consisterebbe nel gruppo sudoccidentale – tartessico e alfabeto di Espanca – da cui deriverebbero il gruppo di sud-est, quello di nord-est e infine il celtiberico4V. l’esposizione delle diverse ipotesi, con relativa bibliografia in Ferrer i Jané, Moncunill 2019, pp. 25-26 e tavola 4.6..

Allografia

Nel percorso che ha portato l’alfabeto a diffondersi, modificandosi profondamente nei millenni della sua storia, un fenomeno spesso non rilevato è quello dell’allografia. È così definito l’uso di una determinata scrittura da parte di parlanti una lingua che tradizionalmente era annotata da un’altra. Questo termine, la cui definizione qui usata si deve a J. den Heijer e A. Schmidt (den Heijer, Schmidt 2014, p. 1; usi diversi del vocabolo in Meletis 2020), è stato considerato non del tutto adatto a designare il fenomeno: si è proposto di definirlo con il vocabolo “eterografia” o aljamiado, un termine quest’ultimo che designa la scrittura araba usata dalla comunità dei Moriscos, gli Arabi rimasti in Spagna dopo l’espulsione del 1502, per scrivere le lingue romanze locali (v. ad es. Nallino 1929); nessuno di questi vocaboli si è però imposto. L’allografia si distingue dall’allottografia, che consiste invece nel leggere un testo in una lingua diversa rispetto a quella in cui è scritta. Questo fenomeno, testimoniato ad esempio nel caso di sumerogrammi sumerici letti in semitico, ben testimoniato a Ebla, è stato messo in rilievo soprattutto nel caso dell’antico persiano, lingua nella quale sarebbero stati letti alcuni testi scritti in elamico (v. Rubio 2007, con bibliografia).

Il fenomeno dell’allografia, che può essere occasionale o usuale, è attestato nell’antichità per la lingua punica tarda, che, in periodo romano imperiale, è stata scritta in caratteri latini in un gruppo di circa 60 iscrizioni chiamate latino-puniche (passi in punico in caratteri latini sono riportati anche nella commedia Poenulus di Plauto)5V. Kerr 2010a sui testi; Amadasi Guzzo 2022 sul fenomeno. (Fig. 45).

Fig. 45. Iscrizione funeraria latino-punica dalla Tripolitania (area di Tarhuna, vicino al Mausoleo di Gasr Doga) (Reynolds, Ward Perkins 1952, p. 212, n. 873).

In questo esempio, il cambiamento di scrittura è dovuto al progressivo diffondersi del latino in Africa del Nord dopo la caduta di Cartagine: l’impiego della nuova lingua nell’amministrazione pubblica e la dissoluzione di scuole locali ha portato all’abbandono dei caratteri di origine fenicia da parte di comunità che parlavano ancora la lingua punica. Altri casi più recenti sono l’uso della scrittura araba – già citato – o di quella ebraica per esprimere lingue romanze; inoltre, del garšuni, la scrittura siriaca adoperata dalla comunità cristiana, in Mesopotamia e Siria dal VII secolo in poi, per esprimere la lingua araba. Questi fenomeni sono dovuti spesso a motivazioni specifiche di comunità minoritarie per affermare un’identità: è un distacco volontario da una tradizione scrittoria comune all’ambiente circostante (v. Briquel-Chatonnet 2015 e Schorch 2020), per distinguersene e mettere in evidenza una coesione di gruppo.