VI. DIFFUSIONE DELLE SCRITTURE ARAMAICHE NEI PERIODI ELLENISTICO E ROMANO

Come si è mostrato, nell’area mediterranea, la scrittura alfabetica si è diffusa prima grazie ai Greci, in seguito, e contemporaneamente, per l’influenza degli Etruschi, dando origine a numerose scritture locali, sulle quali si impone col tempo quella latina. Intanto, in Oriente la scrittura aramaica prevale e si caratterizza per sviluppi propri avendo la meglio anche sulla scrittura cuneiforme e acquistando il predominio nell’Asia anteriore, dove persiste tuttora1Quadro d’insieme su lingue e scritture, Gzella 2015, pp. 211-280. Sulle scritture in particolare Naveh 1982, pp. 125-174; Garbini 2006, pp. 171-234 (con l’eccezione dell’ebraico quadrato e del siriaco e l’inclusione del fenicio e del punico tardi). Antologia di iscrizioni nelle principali lingue e scritture: Healey 2009..

Dall’Impero achemenide all’Ellenismo

Dopo la caduta dell’impero persiano, l’aramaico ha un periodo di minore attestazione e perde la sua relativa unità realizzata dalla cancelleria achemenide2V. Naveh 1982, pp. 125-174; inoltre, le introduzioni in Garbini 2006, pp. 171-174; 202-209 (Iscrizioni aramaiche III); antologia sulle scritture occidentali e orientali Healey, 2009, pp. 1-56 (introduzione epigrafica, linguistica e generalmente culturale sui vari gruppi di documenti). Sulle lingue soprattutto, Gzella, Folmer 2008 (rispettivi capitoli sulle varietà linguistiche, citate in seguito); Gzella 2015, pp. 281-381. Raccolta di iscrizioni in ebraico giudaico e nabateo: Yardeni 2000.. Sopravvive tuttavia ai cambiamenti politici che vedono l’area vicino orientale sotto diversi poteri: prima dei sovrani ellenistici successori di Alessandro, che usano il greco come lingua ufficiale, poi dei Romani (trionfo di Pompeo in Oriente del 61 a.C.), dei Parti (Mitridate I entra a Babilonia nel 148 a.C.), dei Bizantini e dei Sasanidi (dal III secolo d.C.), al cui dominio pone fine la conquista araba del VII secolo. In questo lungo periodo l’aramaico si mantiene in varietà vocali e scritte, e riemerge in determinati periodi e in vaste regioni del Vicino Oriente, con varianti di scrittura che risalgono nell’insieme all’aramaico della cancelleria persiana. La scrittura aramaica persiste tuttora nell’arabo, nell’ebraico d’Israele, nel siriaco in ambito religioso. Gruppi di lingua aramaica sono tuttora presenti in varietà occidentali e orientali e sono parlate da comunità di religioni diverse, sparse dopo le guerre mondiali in diversi paesi (Siria, Iraq, Turchia) e specialmente negli Stati Uniti.

Nel periodo ellenistico e poi romano, l’andamento dei segni e le loro forme si sviluppano in senso corsivo, modificandosi nei singoli territori, dove le specifiche varietà grafiche si evolvono sia col passare del tempo sia, inoltre, a seconda del genere dei testi e dei materiali impiegati come supporto. Così come le lingue, le scritture sono divise per convenzione sulla base della tipologia dei segni in un ramo orientale e in un ramo occidentale. Al ramo occidentale sono attribuite la scrittura nabatea e la scrittura giudaica o ebraico quadrato. Le altre varietà sono classificate come orientali. Questa classificazione rigida non si adatta però del tutto alla realtà delle attestazioni: ad esempio, la scrittura palmirena, le cui somiglianze con il siriaco sono spesso sottolineate, non può considerarsi caratteristicamente orientale e sarà qui presentata, dopo la scrittura nabatea.

Scritture aramaiche occidentali e scrittura palmirena

Scrittura giudaica (o ebraico quadrato)3Healey 2009, pp. 11 (storia, con bibliografia); 122-143 (testi in “Jewish Palestinian Aramaic”). Sulla situazione linguistica della Palestina dal periodo ellenistico, v. Gzella 2015, pp. 225-238. Sull’uso delle diverse scritture e il passaggio alla scrittura aramaica v. Naveh 1982, pp. 112-124, sullo sviluppo successivo, pp. 162-174. Raccolta di iscrizioni: Frey 1936-1952. Insieme di studi su questo periodo: Capelli 2015; Mc Dowell, Naiweld, Stökel Ben Ezra 2021.

Nel periodo persiano, gli eredi degli stati ebraici continuarono a usare la loro lingua; tuttavia, l’aramaico cominciò a imporsi come lingua di comunicazione, essendo usata principalmente dall’amministrazione (Naveh 1982, p. 162). Fu soprattutto nel periodo ellenistico che, mentre si diffondeva il greco, l’ebraico fu parlato sempre meno in favore dell’aramaico, la cui scrittura soppiantò quella ebraica tradizionale, per motivi di tipo diverso e a lungo indagati (v. in particolare Naveh 1982, pp. 112-124 e Lacerenza 2018). Quest’ultima scrittura, peraltro – così come la lingua – si mantenne in uso in determinati ambienti e per scopi precisi, sia come espressione di un’identità propria, sia per ragioni di carattere religioso e dotto.

Già nel V secolo a.C., la colonia ebraica di Elefantina (Egitto) si serviva dell’aramaico, come mostrano le lettere e i papiri che sono stati rinvenuti in questo insediamento (Cowley 1923; Folmer 2022). Con l’andare del tempo, la lingua ebraica viene generalmente annotata non più nella scrittura tradizionale – che riappare tuttavia non solo in manoscritti di testi sacri ma anche in lettere e per scrivere determinate parole, come il tetragramma divino (YHWH) –, ma in una variante della scrittura corsiva aramaica, chiamata “ebraico rabbinico” o “assiro”. La denominazione di ebraico quadrato, entrata nell’uso comune, si basa su un’altra terminologia rabbinica (v. Lacerenza 2018 con bibliografia). Attualmente, si è imposto il nome di “scrittura giudaica” (Capelli 2015).

Le più antiche iscrizioni giudaiche su pietra risalgono all’epoca erodiana (37 a.C. – 70 d.C.) e sono in gran parte iscrizioni sepolcrali. Riguardo alla scrittura su papiro e su pelle, sono fondamentali le scoperte effettuate a cominciare dal 1947 nelle grotte di Qumran, nella regione del Mar Morto, a Khirbet Qumran e dintorni, i così detti “rotoli del Mar Morto”, che si datano in un periodo abbastanza ampio, tra il III-II secolo a.C. e il 68 d.C., quando la sede della comunità degli Esseni cui sono stati attribuiti i testi, è distrutta dall’esercito romano e i suoi membri mettono in salvo i manoscritti nelle grotte circostanti (Tav. 18). In seguito, un forte romano sostituisce la sede della comunità. Il piccolo insediamento è abbandonato dopo la conquista di Masada, ultima sede della resistenza dei rivoltosi, che conclude la prima guerra giudaica4Storia delle scoperte nella zona e traduzione dei testi in García Martinez 1996. V. anche Wise, Abegg, Cook 2005. Per una presentazione d’insieme v. Mébarki, Puech 2003. L’editio princeps dei testi delle grotte di Qumran e dintorni è pubblicata nella serie Discoveries in the Judean Desert, che conta 41 volumi.. I manoscritti contengono quasi tutti i testi biblici – le più antiche versioni che se ne possiedono (oltre al famoso papiro Nash)5È un foglio di papiro trovato in frammenti in Egitto che contiene soprattutto il testo dei Comandamenti; v. Cook 1903 (editio princeps); Burkitt 1903. – e documenti riguardanti la comunità che li ha conservati o redatti. Lo studio di questo insieme di testi è ora un ramo a sé degli studi sia biblici sia sull’antico giudaismo, sulla lingua e sulle scritture testimoniate.

Tav. 18. Rotolo di Isaia QIsa coll. 12-13 (capp. 14-16) (II secolo a.C.) (Gerusalemme, Museo d’Israele, Santuario del Libro / Wikimedia Commons CC0 1.0).

Le ricerche effettuate nella zona del Mar Morto hanno portato alla scoperta nella regione di numerosi altri gruppi di documenti in grotte scritti per lo più su papiro, ma anche su ostraka e altri oggetti (ad es. monete), che attestano varie lingue e scritture: sono in aramaico, ebraico, nabateo, greco e latino6Riassunto dei gruppi di ritrovamento con sintesi sul tipo di documentazione in García Martínez 1996, pp. 33-37.. I testi rinvenuti nelle grotte del Wadi Murabbat e di Nahel Hever consistono in documenti di rifugiati della seconda rivolta giudaica guidata da Bar Kokhba (132-135), tra questi, lettere dello stesso Bar Kokhba (Martone 2012) (Fig. 34) e scritti di carattere legale7V. in seguito sui documenti nabatei rinvenuti nelle grotte., essenziali anche per ricostruire la storia sociale di quegli anni.

Fig. 34. Lettera di Simone Bar Kosiba (Bar Kokhba) (periodo della seconda rivolta giudaica 132-135) (Healey 2009, p. 315, Fig. 5).

Dal periodo imperiale romano e successivamente, la scrittura giudaica quadrata è testimoniata grazie a testi eseguiti a inchiostro o incisi sulle pareti di catacombe (in Italia sono importanti Roma e Venosa8Storia degli studi, elenco e edizioni precedenti in Lacerenza 2020 (iscrizioni anche in greco e in latino; elenco di studi riguardanti iscrizioni ebraiche in Italia meridionale).) o di sinagoghe, le cui iscrizioni su pavimenti sono spesso eseguite a mosaico (v. ad es. Naveh 1981); da segnalare le iscrizioni delle sinagoghe di Palmira e di Dura Europos (v. per queste ultime Bertolino 2004). In Palestina sono numerose le iscrizioni sepolcrali, soprattutto da Beth Shearim (Fig. 35), da Giaffa (tra IV e VII secolo) e da Zoar (costa sud del Mar Morto), degli inizi del V secolo. Da Nippur e da altri siti babilonesi provengono interessanti incantesimi dipinti che risalgono al 600 ca.9Sui testi magici v. Naveh, Shaked 1985; Shaked 2011 (con ampia bibliografia)..

Fig. 35. Iscrizione su un sarcofago da Beth Shearim (dopo il 135 d.C.) (Naveh 1982, p. 169, Fig. 152).

Sono di un’importanza capitale per gli studi riguardanti sia il testo biblico, sia la ricostruzione del contesto storico e sociale della comunità che frequentava la sinagoga nel corso del tempo, i ritrovamenti della ghenizah del Cairo10Si chiama gheniza (ge˘nīzā) un deposito di testi sacri o oggetti di culto fuori uso annesso a una sinagoga., effettuati a partire del XIX secolo; da qui derivano migliaia di manoscritti diversamente databili, dal VII-VIII secolo al periodo medievale, che hanno permesso – al di là dell’interesse del contenuto dei documenti – di ricostruire la storia della vocalizzazione del testo biblico11Principale studio (tra i moltissimi): Kahle 1947; v. anche, di recente, Hoffman, Cole 2011.. Infatti, l’antico ebraico annotava le vocali in maniera irregolare, servendosi delle così dette matres lectionis (simboli, cioè, che facilitano la lettura, vedi cap. III). Tale sistema era però insufficiente per fissare in maniera stabile e precisa la lettura dell’Antico Testamento, redatto in una lingua oramai non più usata comunemente. Studiosi antichi del testo sacro, che hanno ricevuto il nome di Massoreti (dall’ebraico massōrā “tradizione”), crearono nel corso del tempo vari sistemi di vocalizzazione; dato che il testo sacro era intangibile anche nella sua forma esterna, i procedimenti per indicare le vocali consistettero in punti e trattini posti sopra o sotto le lettere12Un sistema analogo per indicare le vocali è stato creato per vocalizzare il Corano; un sistema basato sul greco si è affermato nei testi siriaci.. Il sistema che ha prevalso è quello chiamato tiberiense13Altri sistemi sono il palestinese e il babilonese., che si è formato a Tiberiade, in Galilea, nell’VIII secolo a.C. Comprende tre categorie di segni: 1) segni vocalici; 2) segni che precisano la pronuncia delle consonanti; 3) accenti, tra i quali alcuni dividono il versetto e annotano, nello stesso tempo, l’accento tonico della parola; altri sono impiegati come segni musicali, per indicare la modulazione esatta del testo sacro. L’insieme di questi segni è chiamato “puntuazione massoretica”. L’impiego di questo sistema è limitato al testo biblico, ad alcune poesie, ad alcuni termini tecnici la cui scrittura solo consonantica potrebbe creare ambiguità nella lettura.

L’alfabeto ebraico usato attualmente riproduce, con una certa regolarizzazione, la forma dei segni quali compaiono nei documenti sopra citati. Consta delle 22 consonanti dell’alfabeto da cui deriva tramite l’aramaico. Il tracciato delle lettere è caratteristico: tozzo e massiccio (da qui il nome di “quadrato”). Alcune lettere hanno forma molto simile, con la possibilità di confusione nella lettura; inoltre, determinati segni hanno una forma specifica in fine di parola (k, m, n, p, s.). Altri possono essere dilatati per impedire di interrompere le parole alla fine delle linee (, h, l, m finale e t). La scrittura quadrata è divenuta la scrittura ufficiale dello stato di Israele ed è impiegata accanto a una variante corsiva. In passato, ebrei della diaspora hanno trascritto nella propria scrittura le lingue dei paesi dove risiedevano (il tedesco, lo spagnolo, l’italiano, il persiano…) o, viceversa, hanno scritto la propria lingua in caratteri diversi, ad esempio arabi; hanno inoltre dato origine, scrivendoli per lo più in caratteri ebraici (quadrati), dialetti specifici delle varie comunità. Questi fenomeni sono studiati sotto il nome di allografia (Hary 1996; Capelli 2015, con bibliografia precedente).

Scrittura nabatea14Sintesi ancora essenziale: Starcky 1966; grammatica: Cantineau 1930-1932; iscrizioni in CIS II; Jaussen, Savignac 1909-1914; inoltre Macdonald 2003; Hackl, Jenni, Schneider 2003; Nehmé 2012.

a. La scrittura nabatea

I Nabatei erano verosimilmente in origine una tribù carovaniera araba15Nel periodo pre-islamico questo etnico ha un significato ampio che comprende varie popolazioni. la cui provenienza è dibattuta e che si costituirono in regno con capitale Petra. La prima menzione dei Nabatei è del 311-310 a.C., quando Diodoro (ca. 60-27 a.C.; XIX,94), la cui fonte è lo storico Geronimo di Cardia (354-250 a.C.), che partecipò agli eventi narrati, li nomina per aver combattuto contro Antigono, uno dei successori di Alessandro. In quell’occasione lo storico fa riferimento a una lettera inviata dai Nabatei ad Antigono, scritta in «caratteri siriani» (XIX,96), il che indica, nel IV secolo a.C., l’uso dell’aramaico almeno come lingua scritta da parte di questa popolazione. Già allora, come in seguito, la prosperità dei Nabatei era dovuta sia all’agricoltura, sia soprattutto al dominio delle rotte carovaniere che dall’Arabia e dal Mar Rosso raggiungevano il Mediterraneo. Non sappiamo quando fu fondato il regno nabateo, che è testimoniato a partire dal II secolo a.C. In base alle legende delle monete e alle iscrizioni conosciamo una serie di re che si succedono tra questo periodo e il 106 d.C., data dell’occupazione di Petra da parte romana. Le fonti per la storia dei Nabatei sono scarse: sono citati, infatti, per lo più in rapporto con eventi degli stati vicini (soprattutto lo stato ebraico), mentre le fonti epigrafiche e numismatiche danno essenzialmente i nomi dei sovrani, qualche genealogia e loro attributi, informazioni sui culti e su alcune disposizioni di carattere giuridico. Sappiamo che il regno si estese a sud fino a Hegra; a ovest i Nabatei riuscirono per qualche tempo a occupare il porto di Gaza e verso nord, nell’85 a.C., la stessa Damasco, che tuttavia non riuscirono a controllare a lungo. Sempre a nord, fondarono un centro commerciale a Bosra (nell’attuale Giordania), che mantennero fino alla caduta dello stato, epoca in cui fu per qualche tempo la capitale del regno.

La più antica iscrizione attribuita ai Nabatei16V. per le iscrizioni, oltre alle raccolte cit. qui a nota 14, le sintesi in Amadasi Guzzo 1987, pp. 88-92; Amadasi Guzzo, Equini Schneider 1997, pp. 69-76 (la lingua e la scrittura). è stata trovata a al-Khalasa, l’antica Halasa o Elusa, nel Negev centrale: si data intorno al 169-168 a.C. in base all’identificazione del re Areta nominato nell’iscrizione con «Areta, re degli Arabi» citato nel II libro dei Maccabei (2 Mac 5,8). In seguito, le iscrizioni nabatee, circa 6000 – tra graffiti su roccia, testi monumentali votivi, funerari e legali, ciottoli, papiri, monete – si dispongono su un lungo periodo che va oltre la conquista romana del 106 d.C. Il documento datato più recente in caratteri nabatei, ma in lingua araba, viene da al-Namarah, nel Hauran (RES 483), e si si pone nel 328 d.C. (ricorda Imru’-l-Qais «re di tutti gli Arabi»17Successore del fondatore della dinastia dei Lakhmidi, che ebbe la sua capitale nella città di al-Hira, v. ad es. Bellamy 1985.). La maggior parte delle iscrizioni è stata rinvenuta a Petra (Fig. 36) e a Ramm, a sud-est della capitale; gruppi di documenti provengono da un’area molto vasta, presentando caratteristiche in parte proprie a ogni territorio riguardo al genere di testo e, in parte, al ductus della scrittura. Le regioni di provenienza (v. Macdonald 2003, pp. 40-48), oltre alla capitale e dintorni (Tav. 19), sono soprattutto Hegra, con iscrizioni su tombe: i testi riguardano non tanto il ricordo dei defunti, ma i diritti di proprietà degli edifici/spazi sepolcrali; altre località di ritrovamento sono in Arabia, in particolare Dedan e Duma (ora al-Jauf).

Fig. 36. Iscrizione funeraria della tomba detta di Turkmaniyyah a Petra (ca. 50 d.C.) (Healey 2009, p. 311, Fig. 1).
Tav. 19. Iscrizione funeraria nabatea da Madaba (Giordania) (37 d.C.) (AO 44540; Parigi, Louvre / Wikimedia Commons CC BY-SA 4.0).

In Siria, la regione dello Hauran (v. Starcky 1985 e Nehmé 2010a, ambedue con bibliografia) ha una serie di documenti che si caratterizzano sia per varietà di contenuto sia per un tipo di scrittura, con lettere meno legate e in qualche caso di forma specifica (Fig. 37).

Fig. 37. Altare con dedica bilingue nabatea e greca a Dushara da Umm el-Jimal (CIS II, 190 = RES 1094) (I-II secolo d.C.) (Littmann 1914, p. 34, n. 38).

Testi legali nabatei, scritti a inchiostro su papiro, sono stati rinvenuti nella vallata del Mar Morto (I e II sec. d.C.) nella località di Mahoza, e specificatamente nella grotta di Nahal-Hever, dove si erano rifugiati i rivoltosi ebrei contro Roma, guidati da Bar Kokhba, dopo la seconda rivolta (132-135 d.C.) e dove trovarono riparo due donne ebree, Babatha e Salome Komaise, i cui documenti erano scritti anche in nabateo (v. da ultimi Yadin et al. 2002 e Czajkowski 2017). Nel Negev, a est del Sinai, da dove viene l’iscrizione di Elusa, sono importanti il centro di Oboda con la vicina Ein-Avdat, che attesta il culto del re Oboda I (ca. 96-85 a.C.) e Nessana da dove proviene una serie di papiri. Infine, nel Sinai si contano migliaia di graffiti su roccia (ne sono stati recensiti circa 4000) (v. Macdonald 2003, p. 47 e nota 78), difficilmente databili, ma verosimilmente tardi: alcune iscrizioni datate sono dei secoli II e III d.C. Varie iscrizioni sono state rinvenute lungo le rotte commerciali frequentate dai Nabatei: Egitto, Fenicia, Asia Minore e fino in Italia, dove due iscrizioni sono state trovate a Pozzuoli.

b. Lingua e scrittura: dal nabateo all’arabo

La lingua attestata dai documenti nabatei (v. in particolare Macdonald 2003; Gzella 2015, pp. 238-246, con bibliografia) è ancora da considerare aramaica imperiale; tuttavia, a livello lessicale e sintattico vi è una notevole influenza dell’arabo, così come arabi sono in gran parte i nomi di persona; si è supposto, infatti, che i Nabatei parlassero un dialetto arabo e usassero l’aramaico come lingua scritta, anche se questa ipotesi non è dimostrata. Vocaboli greci sono penetrati in ambito architettonico e nella titolatura militare. Sono attestate inoltre bilingui nabateo-greche soprattutto in alcune regioni (nel Hauran, ma anche in Egitto, in Libano, in Arabia saudita e nell’Egeo)18V. da ultimo sulle bilingui con il greco Petrantoni 2021..

Rispetto all’aramaico di epoca persiana, la scrittura nabatea è di tipo corsivo, con uno sviluppo verso aste sempre più allungate e lettere che si legano tra loro, assumendo in alcuni casi specifiche forme secondo la loro posizione nel testo. Si osservano sviluppi sia regionali, sia tipologici in rapporto con il supporto dell’iscrizione ad es. i documenti scritti a inchiostro hanno andamento più corsivo –, sia cronologici, con varie lettere (in particolare b, y e n; g e h.; p e q) che tendono col tempo a confondersi.

Si ritiene che la scrittura nabatea abbia dato origine a quella araba tuttora in uso. Il tramite è considerato un tipo di grafia corsiva presente in una serie di documenti classificati come testimoni di una transizione tra scrittura nabatea e araba (Nehmé 2010b).

Scrittura palmirena19In generale: Starcky 1960. Grammatiche: Cantineau 1935. Testi: Hillers, Cussini 1996; v. inoltre le aggiunte in Gzella 2015, p. 250, nota 807; raccolta: Cussini 2022. Sulla lingua, Gzella 2015, pp. 248-256; sulla scrittura, Klugkist1983; Garbini 2006, pp. 219-226. Raccolta di studi: Kusatu 2018. V. anche il catalogo della mostra Charles-Gaffiot, Lavagne, Hofman 2001.

Palmira (Tadmor nella lingua locale) era in origine un’oasi situata nel centro del deserto siriano, all’incrocio delle vie di comunicazione tra Mediterraneo ed Eufrate. Nota già nel II millennio, e abitata verosimilmente da tribù di origine diversa, per la sua posizione e per la ricchezza in acqua divenne un centro carovaniero importante. Le sue vicende sono note solo a cominciare dal I secolo a.C., quando nel 41, Antonio cerca di impossessarsi delle sue ricchezze. La prosperità di Palmira, in base alle nostre fonti, si concentra tra il I e il II secolo d.C. estendendosi fino al III: la città sembra aver profittato del dominio di Roma sulla Siria, vantaggioso per i suoi commerci, le cui rotte sostituirono quelle che passavano da Petra, contribuendo così in parte alla decadenza di quella città, passata sotto il dominio di Roma nel 106 d.C. Visitata dall’imperatore Adriano, Palmira assume nel 129 d.C. l’epiteto di Hadriana e la sua prosperità continua ad aumentare in seguito, quando i suoi commercianti, ma anche i suoi soldati arruolati sotto i Romani, si diffondono in tutto l’Impero. Nel III secolo d.C., nonostante l’espansione politica, inizia una certa decadenza economica. Nel 226 d.C. cade l’impero partico e sale al potere la dinastia nazionale persiana dei Sasanidi: il primo sovrano, Ardashir I (o Artaserse, 180-241), impadronendosi delle foci del Tigri e dell’Eufrate, chiude ai Palmireni l’accesso al Golfo Persico. Tuttavia, Palmira con il re Odeinath e soprattutto con la sua vedova Zenobia (235-273), riesce a creare un proprio impero autonomo, rompendo con Roma, alla cui indipendenza mette fine la vittoria di Aureliano, nel 272 d.C., preludio alla decadenza definitiva della città.

Le iscrizioni palmirene ammontano a circa 3000 e provengono per la maggior parte da Palmira; un certo numero è stato trovato a Dura Europos, sull’Eufrate (du Mesnil du Buisson 1939); al difuori della Siria, sono diffuse nel vasto territorio legato ai commerci e soprattutto alla presenza di truppe palmirene, specialmente arcieri: in Africa settentrionale, in Romania, in Ungheria, in Italia, in particolare a Roma e fino in Inghilterra. La più antica iscrizione datata risale al 44 a.C., mentre la più recente è del 272 d.C. Il genere delle iscrizioni è in gran parte funerario (Fig. 38): molte sono anche le così dette “tessere”, per lo più in terracotta, con immagini e brevi iscrizioni, che servivano probabilmente per partecipare a cerimonie con banchetti di carattere religioso (v. specialmente Ingholt, Seyrig, Starcky 1955).

Fig. 38. Epitaffio palmireno di Shu‘adel, figlio di Zabdibol (3 novembre 172 d.C.; PAT 0618) (© Copia di Eleonora Cussini).

Altre iscrizioni sono dedicatorie e onorifiche per personaggi particolarmente benemeriti e sono a volte accompagnate da versioni in greco o in latino: mostrano così la molteplicità delle culture che si incrociano a Palmira e i ruoli rispettivi delle varie lingue, l’aramaico presentandosi come lingua di identità locale. Il testo più lungo è la così detta “Tariffa doganale”, del 137 d.C.20Hillers, Cussini 1996, n° 259 (= CIS II 3913): consta di 163 righe. V. per la bibliografia Perassi, Bona 2016., che regola specificamente l’ammontare delle tasse per le merci che transitavano nel territorio della città. Numerosi sono i graffiti.

Il palmireno delle iscrizioni deriva dall’aramaico della cancelleria achemenide, con caratteristiche di un aramaico orientale e tratti propri. Nella scrittura si identifica una varietà monumentale e una varietà corsiva; sono segnalati inoltre rapporti con la scrittura siriaca21V. in particolare Garbini 2006, p. 225, che fa notare la probabile influenza culturale dei Parti..

Scritture aramaiche orientali22Naveh 1982, pp. 127-131; Garbini 2006, pp. 94-98.

Prime attestazioni tra III e II-I secolo a.C.

Già nell’VIII secolo a.C. l’aramaico era penetrato nell’Azerbaijan (iscrizione di Bukan) ed era diventato lingua (e scrittura) di comunicazione dell’impero al tempo degli Achemenidi. Col disgregarsi dell’impero persiano, dopo un vuoto nella documentazione anche in queste regioni, in periodo ellenistico – insieme con il greco – la scrittura e la lingua aramaiche si ritrovano diffuse, in diverse varianti, fino in Afghanistan e in Pakistan. Nella seconda metà del III secolo a.C. il prestigio dell’aramaico è testimoniato dagli editti del re indiano Aśoka (268-233 a.C.), della dinastia Mauriya (Pugliese Carratelli 2003). I documenti di questo sovrano sono di vario contenuto e diffondono, tra l’altro, le sue concezioni buddhiste; i testi sono redatti soprattutto nei dialetti locali indiani (pracrito con varianti), ma anche in aramaico, come a Taxila (Pakistan) e Pul-i-Darunte (Afghanistan) e in aramaico e greco (v. Dupont-Sommer 1970). Il documento aramaico più importante è un’iscrizione bilingue con il greco trovata a Kandahar (Alessandria di Arachosia), il cui testo ha varie difficoltà nell’interpretazione perché contiene imprestiti da lingue non semitiche23KAI 273 (Taxila) e 279 (Kandahar). Edizioni della bilingue, in particolare: Schlumberger et al. 1958; Tucci et al. 1964. Sui due testi in greco, v. Maniscalco 2018.. Un certo numero d’iscrizioni aramaiche attribuite al III secolo a.C. circa proviene da varie regioni della Siria e della Palestina, dall’Egitto e dalla Mesopotamia; iscrizioni dalla Cappadocia (già presenti dal IV secolo a.C.) sono considerate da G. Garbini come il tramite verso l’uso dell’aramaico nell’impero partico e presso popolazioni di lingue iraniche (Garbini 2006, pp. 206-209).

Numerose iscrizioni in varie regioni dell’Armenia e della Georgia attestano varianti di scritture aramaiche difficili da classificare. Si accenna qui di seguito ai gruppi più importanti. In Armenia, nel II secolo a.C. alcuni cippi confinari trovati nella regione del lago Sevan sono iscritti in aramaico e fanno riferimento al re Artaxias I delle fonti classiche24Ad es. KAI 274. V. Naveh 1971 (con bibliografia precedente); Tremblay, Mahé 2007.. A Nisa, in Georgia, è stato rinvenuto, ancora in scavi recenti, un gran numero di ostraka (oltre a graffiti) del I secolo a.C. (Chaumont 1968; Morano 2008), che consistono in ricevute e documenti di contabilità in rapporto con la consegna e l’immagazzinaggio di vino e aceto. I documenti di Nisa sono stati messi in rapporto da alcuni studiosi con le prime attestazioni dell’uso dell’aramaico in funzione ideografica, per annotare lingue mediopersiane (un fenomeno chiamato allottografia). Nei primi secoli della nostra era i documenti aramaici, in base alla lingua e alla scrittura, si classificano, in modo non rigido, in diversi gruppi, secondo un criterio geografico.

Gruppo settentrionale25V. Beyer 1998 (antologia e schizzo grammaticale).

Conosciamo diverse scritture di carattere locale attestate da documenti diversi: si tratta della scrittura di Hatra e delle varietà attestate ad Assur e su altri documenti in particolare rinvenuti in Georgia. A sud sono da ricordare la scrittura elimaica e quella della setta gnostica dei Mandei26Classificazione dei vari rami delle scritture aramaiche di questo periodo in Naveh 1982, pp. 294-295.. Il siriaco, che fa parte del gruppo settentrionale, per alcune sue specificità (come nel caso del palmireno), è presentato a parte.

a. Hatra

A Hatra, in Mesopotamia settentrionale (ora Iraq), fiorì uno stato indipendente ai confini del regno partico del quale fece parte per un certo periodo; dal I sec. a.C., ma soprattutto tra il III e il II d.C., Hatra fu un centro carovaniero importante, su una via che univa l’altipiano iranico, la Siria e l’Asia minore. Cadde nel 240 d.C. ad opera dei Sasanidi. Da Hatra si conoscono circa 500 iscrizioni votive, commemorative e funerarie27Aggoula 1991; Bertolino 2008 (con bibliografia). Onomastica: v. da ultimo Marcato 2018. (Tav. 20).

Tav. 20. Iscrizione aramaica da Hatra (I-III sec. d.C.) (Baghdad, Museo Nazionale dell’Iraq / Osama Shukir Muhammed Amin / Wikimedia Commons CC BY-SA 4.0).

Fra i documenti datati, il più antico risale probabilmente al 97-98 d.C., mentre le iscrizioni più recenti sono del 238 d.C. La scrittura di Hatra appartiene al tipo definito da J. Naveh (1972) “Nord-Mesopotamico”, ed è quella che più si avvicina, come nota lo studioso, alla scrittura aramaica tradizionale (Fig. 39). Per tipologia ha rapporti anche con la scrittura del gruppo della Mesopotamia meridionale, senza che sia però individuato un modello comune certo.

Fig. 39. Dedica di una statua per una sacerdotessa da Hatra (234-235 d.C.) (Aggoula 1991, p. 29, n. 35).
b. Assur e Dura Europos

Iscrizioni aramaiche con scrittura di un tipo vicino a quello di Hatra provengono dalla non lontana Assur (Aggoula 1985) e da Dura Europos (Bertolino 2004, insieme a iscrizioni in altre grafie). Una varietà simile è diffusa nella regione di Tur Abdin (Turchia), presso Mosul: si ricordano le iscrizioni di Sari e Hasan Kef, la cui scrittura è messa inoltre in relazione sia con la scrittura palmirena sia con quella siriaca28Su questi testi e altri documenti isolati, v. Garbini 2006, pp. 228-230.. In Armenia, iscrizioni aramaiche provengono da Garni; in Georgia, oltre ad altri documenti, si ricorda specialmente il gruppo così detto di Armazi (Fig. 40), ad es. KAI 276 (Giunashvili 2021).

Fig. 40. Parte aramaica dell’iscrizione funeraria di Serapti, bilingue greco-aramaica da Armazi (Georgia) (metà II secolo d.C.) (Naveh 1982, p. 129, Fig. 114).

Gruppo meridionale

a. Elimaico

Una varietà specifica di scrittura aramaica è testimoniata nella regione meridionale dell’Iran che corrisponde alla Susiana-Elimaide (dal nome dell’antico Elam) o alla Characene degli autori classici, il cui nucleo è il Khuzistan attuale. La regione, dopo la caduta dell’impero achemenide, dipese prima dai Seleucidi, poi dai Parti; dal 24 a.C. le monete mostrano la presenza di una dinastia locale a capo dello stato di Mesene-Characene (de Morgan 1976). In un primo periodo le legende monetali sono greche, poi aramaiche e nominano i sovrani di una dinastia che perdura fino al 198 d.C. A questo secondo periodo, sono da attribuire verosimilmente le iscrizioni chiamate elimaiche, redatte in una lingua e scrittura specifiche; accompagnano rilievi rupestri individuati già dal XIX secolo, prima nelle località di Tang-i-Sarvak e Tang-i Butan (Shimbar) (Henning 1952; Bivar, Shaked 1964) e poi in altri siti dove sono presenti iscrizioni dipinte29Garbini 2006, 231-232. Nuove ricerche da parte dell’Università di Torino: Mehr Kian, Messina 2019.. Dal punto di vista epigrafico, l’importanza di questi testi risiede anche nel testimoniare un tipo di scrittura che è alla base di quella mandaica.

b. Mandaico

I Mandei sono una setta gnostica mantenutasi fino a tempi recenti nella regione del Khuzistan e presente con qualche comunità fino ai giorni nostri (v. Lupieri 2010). Noti per la prima volta in Occidente grazie a Pietro della Valle, che li conobbe a Bassora nel 1625, i loro manoscritti vengono diffusi in Europa e sono tradotti tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del XX. Sia la ricostruzione della loro dottrina, sia la loro origine non sono del tutto chiarite. La documentazione che li testimonia è costituita da una serie di opere manoscritte – in buona parte acquistate negli anni Trenta del Novecento da E.S. Drower (Müller-Kessler 2004a) –, coppe in ceramica e lamine in piombo con testi magici. I più antichi documenti si datano intorno al VI-VIII secolo d.C., ma possono risalire al II-III secolo d.C., mentre i manoscritti sono per la maggior parte dei secoli XVII-XIX (se ne hanno alcuni più antichi).

Tuttora discussa è l’origine dei Mandei (Müller-Kessler 2004b), che M. Lidzbarski e R. Macuch ponevano nella regione siro-palestinese, mentre secondo altri (in particolare J. Naveh, C.G. Häberl, Chr. Müller-Kessler)30Naveh 1970 (sulla scrittura derivata da quella elimaica), Müller-Kessler 2004b, Häberl 2006., sulla base di fattori lessicali, linguistici, di formulari impiegati nei testi più antichi, è da porre nella Babilonia stessa, dove appunto la scrittura elimaica costituisce il punto di inizio dei successivi viluppi grafici31M. Lidzbarski ha pubblicato parte dei testi sacri mandaici; v. Yamauchi 1999-2000 (bibliografia dei testi conosciuti fino ad allora)..

L’alfabeto mandeo consta di 22 lettere. Da notare lo sviluppo subito dalle consonanti , , h, h. che si sono confuse o sono cadute nella pronuncia; le due prime sono anzi usate unicamente come vocali: insieme con w e y, la scrittura dei Mandei le annota regolarmente, estendendo così l’uso antico delle così dette matres lectionis. Nella costituzione del sistema è stato proposto un possibile influsso greco.

Scrittura siriaca antica32Drijvers, Healey 1999 (con bibliografia); progetto di raccolta in Briquel-Chatonnet, Debié, Desreumaux 2004: il primo volume è stato realizzato nel 2008, v. Briquel, Chatonnet, Desreumaux, Thekeparampil 2008; il secondo è Harrak 2010 [2011]). Bibliografia generale fino al 2006 in Contini 2009.

La scrittura siriaca esprime la lingua dei cristiani il cui centro era originariamente la città di Edessa (ora Urfa, nella Turchia meridionale, antica ’Urhāy) (Segal 1970). Intorno a Edessa da circa il II secolo a. C. si sviluppò lo stato di Osroene che, dopo la conversione al cristianesimo, divenne la capitale intellettuale dell’Oriente cristiano. La scrittura di questa regione ha assunto una forma specifica chiamata siriaca, come siriaca è la lingua aramaica della letteratura cristiana a cominciare dal III secolo d.C. Una serie di iscrizioni ancora pre-cristiane, generalmente dedicatorie e funerarie (Fig. 41), sono chiamate siriache antiche, o anche “pagane”33Buona sintesi in Healey 1990, pp. 49-52. V. inoltre Healey 2000 (con bibliografia).. Il primo documento che testimonia questa scrittura è datato al 6 d.C. e proviene da Birecik, sull’Eufrate (75 km a nord di Edessa); è del 73 d.C. l’iscrizione funeraria di Ma’nu, trovata presso Serrin, sempre sull’Eufrate, a sud di Edessa. I documenti successivi si datano dagli inizi del III secolo d.C. Tra questi, è da ricordare un contratto di vendita su pergamena proveniente da Dura Europos, del 243 d.C.: è il più antico documento non iscritto su pietra in scrittura siriaca.

Fig. 41. Iscrizione funeraria di Gayyu, figlia di Barshuma, da una tomba in grotta a Kirk Mağara, presso Urfa (non datata) (Drijvers, Healey 1999, Tav 14, As 20 b).

Numerosi testi magici, in particolare dipinti su coppe, sono in lingua e scrittura siriaca e si pongono nei secoli IV VII, circa (Fig. 42). Sono scongiuri, testi di protezione contro il malocchio, incantesimi preceduti da historiolae, cioè racconti mitici con lo scopo di rendere l’operazione magica più efficace34Raccolta: Moriggi 2014 (con bibliografia); v. anche Moriggi 2004..

Fig. 42. Scrittura estrangela su coppe magiche siriache (carta dei segni delle coppe nn. 7, 8, 9, da Moriggi 2014).

Sull’origine della scrittura siriaca – di cui sono state segnalate le somiglianze con quella palmirena – le ricostruzioni divergono. Prevale ora l’opinione, espressa già da F. Rosenthal e precisata da J. Naveh, che questa scrittura appartenga al gruppo “Nord-mesopotamico”, ravvisandone l’antenato, comune con il palmireno, in un tipo di scrittura detta “aramaico seleucide”, da porsi tra il 250 e il 100 a.C., in una sua variante corsiva. La prima forma di scrittura siriaca è chiamata esatranghelo (o estranghela), “arrotondata”, ed è documentata in una prima forma, non curata come quella dei manoscritti del V secolo, dal gruppo di iscrizioni su pietra e pergamena sopra ricordate. L’alfabeto è di 22 lettere ed è caratterizzato dall’abbondanza di legature. Successivamente, si sono sviluppate varianti, una orientale e una occidentale, legate a specifiche dottrine cristiane in seguito a contese e divisioni, in primo luogo alla scissione avvenuta dopo il concilio di Efeso (431). Il ramo occidentale usò una scrittura, che è chiamata serto o “lineare”, legata alla dottrina monofisita, che è attestata dall’VIII secolo e che si divise a sua volta in due varietà, la giacobita e la melchita35La dottrina monofisita fu condannata dal concilio di Calcedonia (451) e propagata dal vescovo Eutiche, discepolo del vescovo di Alessandria Cirillo. In Siria il movimento monofisita diede origine alla chiesa giacobita, dal nome di Giacomo di Tella a est di Edessa, noto come Giacobbe Baradaeus, che divenne vescovo di Edessa e riorganizzò la chiesa monofisita. Alla scrittura di questa setta, già usata quotidianamente, fu dato il nome di serto. Sono chiamati melchiti coloro che avevano obbedito al concilio di Calcedonia e che continuarono a usare il siriaco in una scrittura simile al serto dei giacobiti. (Tav. 21). La varietà serto è uno sviluppo della scrittura di uso corrente a Edessa (Briquel-Chatonnet 2001). In quanto tale, questa scrittura è stata adottata anche dai maroniti che si riunirono alla dottrina cattolica. Il ramo orientale usò la variante di scrittura chiamata nestoriana, dal nome della setta che si rifaceva al patriarca di Costantinopoli Nestorio (V secolo), condannata dal concilio di Efeso. I nestoriani portarono i loro insegnamenti e la loro scrittura in Asia centrale, in India e fino in Cina, dove è stata rinvenuta un’iscrizione bilingue del 781.

Tav. 21. Manoscritto siriaco in scrittura serto (XI secolo d.C.) (Egitto, Monastero di S. Caterina, Monte Sinai / Wikimedia Commons).

La scrittura siriaca adoperò in un primo periodo, come già l’aramaico più antico e l’ebraico, il sistema delle matres lectionis per indicare le vocali. Tale notazione, tuttavia, apparve insufficiente: in oriente si adottò un sistema di punti sopra o sotto le consonanti per annotare la vocale seguente, un sistema che fu perfezionato dai nestoriani nell’VIII secolo. I giacobiti invece usarono le cinque vocali del sistema greco, scritte in piccolo, poste anch’esse sopra o sotto i segni consonantici da vocalizzare.

La letteratura siriaca (v. una sintesi in Levi Della Vida 1936, pp. 881-885) è essenzialmente di carattere religioso, legata in particolare alla propagazione della dottrina dei rami delle due principali sette. Già dalla fine del II-III secolo sono tradotti l’Antico e il Nuovo Testamento (Peshitta) e sono numerosi i commenti alle Scritture, le opere teologiche, le vite di martiri e santi, le composizioni a carattere rituale. Sono attestate anche opere di scienza, di filosofia, spesso traduzioni dal greco, e composizioni poetiche.

Gli studiosi europei sono stati iniziati alla conoscenza della lingua e della scrittura siriache grazie ai maroniti: il serto è impiegato perciò generalmente nelle edizioni occidentali dei testi siriaci. La scrittura siriaca nelle tre varianti è usata ancora oggi. Comunità parlanti il siriaco sono concentrate nelle zone di confine tra Siria, Iraq e Turchia; vi sono inoltre gruppi di immigrati sia in Europa sia negli Stati Uniti.

Derivati dell’alfabeto aramaico in Asia centro-orientale

Le scritture aramaiche orientali, dopo la dissoluzione dell’impero achemenide, hanno una fortuna enorme in Asia, nonostante la diffusine del greco. Successivamente alle conquiste di Alessandro Magno, come si è osservato, varietà della scrittura aramaica di epoca achemenide sono adottate per lingue locali, in diverse varianti e secondo più di un modello, nelle regioni centrali e orientali del continente asiatico. Sotto gli Arsacidi (247 a.C. – 224 d.C.), in Iran, la scrittura aramaica è adottata per esprimere la lingua partica e più tardi quella dei Sasanidi (226-640), ambedue lingue medio-iraniche. Le varietà di scrittura attestate vengono chiamate pahlavi (o pehlevi). Una variante di pahlavi annota i testi sacri dello zoroastrismo, l’Avesta. Dalla scrittura aramaica, derivano anche la così detta scrittura sogdiana, diffusa nella regione anticamente chiamata Battriana, sulla riva destra del fiume Oxo, tra Bukara e Samarkanda, tra il I e il VII secolo d.C. Dalla scrittura siriaca estranghelo deriva la scrittura manichea (nome formato su quello di Mani, considerato il suo inventore)36V. Skjaervǿ 1996. Su Mani e il Mancheismo v. Gnoli 2003-2006..

Attraverso l’Iran, l’alfabeto di origine semitica è adottato da popolazioni le cui lingue appartengono al gruppo uralo-altaico e che occupano vasti territori dell’Asia centrale (v. Kara 1996, che comprende anche il cirillico). Molto schematicamente, nei primi secoli della nostra era, popolazioni nomadi o seminomadi dell’Asia centrale formano – come sappiamo da fonti occidentali e cinesi – confederazioni o stati che in alcune circostanze raggiungono un grado di notevole potenza. Nei secoli VI-VIII in Mongolia, e ad ovest fino all’Oxo, regna una confederazione di Turchi (chiamati Türk, Oghuz o Toghuz Oghuz, i “nove Oghuz”). In Mongolia il loro regno è distrutto nel 745 da un’altra popolazione turca, gli Uiguri, che estendono il loro potere anche nel Turkestan orientale. L’impero Uigur cade nell’840 per le invasioni dei Kirghisi; ma uno stato uigur si mantiene fino al XIII secolo, quando si forma l’impero mongolo, sotto Gengiz-Khan. Il territorio appartenuto ai Mongoli è poi occupato nel XVI secolo dalla dinastia manciu, guidata da Nurchachu (1599-1626) e si afferma in Cina, dove si mantiene fino al XX secolo. I potentati o imperi succedutisi in questo lungo periodo usano tutti proprie scritture derivate da varietà aramaiche, che si presentano brevemente.

Un sistema di scrittura chiamato “rune turche” o “ungheresi” per il suo tracciato geometrico e angoloso è usato nella Mongolia nord-orientale; i documenti sono attribuiti ai secoli VII-VIII ed esprimono una lingua turca; da questa varietà grafica deriva anche la scrittura, chiamata “scrittura dell’Orkhon”. Dall’VIII secolo, nella Mongolia settentrionale, si impone – come notato – l’impero uiguro, sempre di lingua turca, che adotta in un primo tempo il sistema delle rune turche; ma, già nell’VIII secolo e poi nel IX usa invece una scrittura di derivazione sogdiana, chiamata “alfabeto uiguro”, che si mantiene fino al XVII secolo. L’impero mongolo, a sua volta, adotta come scrittura ufficiale quella dello stato uigur, impiegando gli stessi simboli anche per alcuni suoni non presenti in mongolo; vari tentativi fatti per modificare la scrittura non hanno del tutto seguito (si ha notizia di singoli individui che cercarono di modificare il sistema). La scrittura mongola è sostituita dal cirillico nel 1946. Dalla scrittura mongola deriva quella usata dai Manciu. Sempre sulla base del sistema mongolo, agli inizi del XX secolo, si è creato un alfabeto per i Buriati, un popolo mongolo stanziato nella regione siberiana intorno al lago Baikal (costituiscono ora la Repubblica di Buriazia, appartenente alla Federazione Russa).

L’alfabeto aramaico in India

Dall’Asia, l’alfabeto giunge fino in India, come mostrato sopra; già nel III secolo a.C. il re Mauriya Aśoka, infatti, accanto a una scrittura locale, redige in aramaico alcuni dei suoi editti.

Una forma di scrittura era già nota nella valle dell’Indo molto prima, nel III millennio a.C.; in questa regione è testimoniata una cultura legata a una società urbana avanzata (Mohenjo Daro e Harappa)37Sulla formazione (con note sulla scrittura) v. Vidale 2005. e tale società usa un sistema grafico, non del tutto decifrato, che non sembra avere paralleli con scritture conosciute e che scompare intorno al 1900 a.C.38Parpola 1996 (con bibliografia riguardo in particolare alle raccolte di iscrizioni). Sulla decifrazione, v. Parpola 2009.. Solo molto più tardi, senza legami con questo sistema, sono testimoniati, nel III secolo a.C., due nuovi tipi di scrittura chiamati brahmi e kharoshti adoperati per fissare lingue indoeuropee (v. Salomon 1996). La scrittura brahmi è nota per la prima volta grazie alle iscrizioni degli editti di Aśoka redatti in lingua prakrita; la sua origine è discussa, ma una derivazione da un alfabeto semitico, probabilmente aramaico, sembra l’ipotesi più verosimile. La scrittura brahmi sarà poi all’origine non solo delle scritture locali dell’India, ma anche delle principali scritture del sud-est asiatico.

La scrittura chiamata kharoshthi è unanimemente giudicata di derivazione aramaica per la somiglianza nella forma di vari segni con lettere aramaiche; è di andamento essenzialmente corsivo ed è attestata anch’essa fin dal III secolo a.C. dal quattordicesimo editto di Aśoka; in seguito, è presente in legende di monete e in numerosi documenti scritti su legno, pelle o carta; è concentrata nella zona dell’antica Battriana, presso i confini con l’Afghanistan. Il suo uso cessa nel IV-V secolo d.C.