5. EPISTEMOLOGIA DELLA POST-INDAGINE

In questo capitolo e in quello successivo, approfondiremo il modello di post-indagine basato sulle post-norme. Come abbiamo anticipato nel capitolo precedente, questo modello ci sembra il più idoneo a cogliere alcuni aspetti delle pratiche di indagine1INDAGINE – Pratica del raccogliere, soppesare e valutare le prove a nostra disposizione in relazione alla domanda, o alle domande, di nostro interesse, al fine di formarci credenze vere e/o rivedere credenze false su di essa (cfr. Capitolo 3. Indagine). avverse alla scienza ufficiale come quelle condotte dai terrapiattisti, dai negazionisti dell’HIV e, con qualche distinguo, dai no-vax e dai critici del cambiamento climatico (si veda Kaufman, Kaufman 2018 e Pigliucci, Boudry 2013 per una trattazione di diversi tipi di negazionismo scientifico). Ci focalizzeremo in particolare sul fenomeno del terrapiattismo, perché esemplifica in modo chiaro e paradigmatico le caratteristiche epistemiche centrali delle pratiche di indagine anti-scientifiche. Riteniamo inoltre che il terrapiattismo sia, tra tutti, l’esempio più semplice e intuitivo e, quindi, il più adatto agli scopi di questa monografia. Quanto esattamente la nostra analisi del terrapiattismo sia generalizzabile, è una questione che non può essere risolta senza considerare comparativamente e nel dettaglio anche gli altri casi. Questo capitolo è strutturato come segue: introdurremo i concetti di bolla epistemica, camera dell’eco e teoria del complotto; analizzeremo il concetto chiave di filtro epistemico; illustreremo poi il ruolo che i filtri epistemici svolgono nella post-indagine; infine, presenteremo il nostro modello teorico della struttura della normatività epistemica con filtri epistemici, che servirà ad analizzare la post-indagine. Questo modello sarà poi elaborato in dettaglio nel capitolo successivo.

5.1. Bolle epistemiche, camere dell’eco e teorie del complotto

Per prima cosa occorre introdurre e illustrare due concetti, che mutuiamo da Thi Nguyen (Nguyen 2018), tra loro intimamente connessi che giocheranno un ruolo chiave nelle prossime pagine, ossia quello di bolla epistemica (in inglese, epistemic bubble) e quello di camera dell’eco (echo chamber). A livello intuitivo, una bolla epistemica può essere concepita come una struttura epistemica che coinvolge uno o più gruppi di individui – in qualità di agenti epistemici – e la cui funzione principale è quella di isolare i membri di tale struttura da un certo insieme di prove e controprove. Il processo epistemico2EPISTEMICO – Relativo a conoscenza o giustificazione. centrale della bolla epistemica è quello di omettere o rendere irrilevanti certi tipi di prove e controprove. Questo processo è promosso e sostenuto da una struttura sociale caratterizzata da un’identità e da riti ben precisi, tali da rendere difficile l’acquisizione di prove provenienti da altri gruppi. La nozione di bolla epistemica ha un raggio di applicazione molto vasto che va oltre i casi connessi alla post-verità. Si pensi, ad esempio, al modo in cui funziona l’attività scientifica nelle istituzioni accademiche e di ricerca: se un ricercatore basa la propria ricerca su una certa ipotesi, la prassi consolidata è quella di fare riferimento solo a studi pubblicati in sedi editoriali appropriate che attestino la fondatezza dell’ipotesi.

Va notato che chiunque è immerso in bolle epistemiche nella vita di tutti i giorni. Infatti, la struttura sociale in cui viviamo è costituita da una rete di amicizie e di contatti professionali il cui effetto, plausibilmente, è quello di escludere una quantità non irrilevante di possibili informazioni. Sicuramente le strutture sociali in cui siamo immersi promuovono l’esclusione di prove e controprove che potrebbero essere addotte da gruppi di persone molto distanti da noi, da un punto di vista sia socio-culturale che generazionale.

Un esempio della pervasività delle bolle epistemiche riguarda la scienza. La struttura sociale della scienza istituzionale è tale per cui si omettono certe fonti epistemiche. Vi è ad esempio la tendenza non solo a omettere le opinioni di non esperti riguardo a una certa ipotesi – che un’ipotesi sia accettata da un non esperto non è considerata una prova accettabile – ma anche a omettere come fonti epistemiche alcune tipologie di pubblicazioni – si pensi a quanto sarebbe considerato irrilevante fare riferimento a una rivista non accademica, come una gazzetta di una pro-loco, per avvalorare un’ipotesi sulla gravità quantistica. Si noti che l’omissione delle prove e controprove causata dalla bolla epistemica non costituisce di per sé un vizio epistemico (per un approfondimento sulla nozione di vizio epistemico si veda Cassam 2019b), nemmeno restringendo il campo alle ricerche scientifiche. Inoltre, spesso l’esistenza di bolle ha un valore pratico in certe indagini: si pensi a quanto sarebbe costoso, in termini di risorse e tempo, se dovessimo sempre confrontarci con le prove fornite da gruppi sociali molto distanti da noi (come se per pubblicare un lavoro in astrofisica ci si dovesse sempre confrontare con l’ipotesi terrapiattista).

Un altro esempio di bolle epistemiche ha a che fare con i social media. Una piattaforma come Facebook utilizza algoritmi che determinano il flusso dei post che vengono visualizzati nella homepage di ogni utente. Questo tipo di gestione del flusso dei post esclude per omissione certi post, ma qui l’esclusione non è determinata direttamente dalla tendenza dell’utente a cercare fonti epistemiche connesse ad agenti simili, bensì dall’algoritmo.

Il secondo concetto che ci servirà per caratterizzare l’indagine guidata dalle post-norme è quello di camera dell’eco. Una camera dell’eco è una struttura sociale che rinforza le credenze di un gruppo screditando ogni fonte di controprove. Per essere parte di una camera dell’eco bisogna condividere un insieme di credenze di fondo, le credenze che costituiscono l’identità del gruppo, fra le quali vi sono anche quelle che motivano la disparità di fiducia epistemica che il gruppo nutre verso certe fonti epistemiche, rispetto alle fonti dei membri del gruppo. Per “fonte epistemica3FONTE EPISTEMICA e FONTE ISTITUZIONALE – Un agente o un’istituzione che produce o trasmette delle prove e delle controprove. Essere fonte epistemica non implica che le prove e controprove prodotte siano accurate (alcune fonti epistemiche sono affidabili, mentre altre possono non esserlo). qui intendiamo un agente o un’istituzione che produca o trasmetta delle prove e contro prove indipendentemente dalla loro accuratezza (alcune fonti epistemiche possono essere affidabili, mentre altre no). Ad esempio, una persona che comunica tramite la sua testimonianza che è accaduto un incidente è una fonte epistemica, come lo è anche l’ISTAT che comunica i dati demografici sull’Italia, o come lo è un insegnante di scuola per i suoi alunni quando impartisce le lezioni. Il concetto di camera dell’eco è utile per caratterizzare comunità che sono epistemicamente chiuse verso altre comunità. Queste comunità sono coese grazie a un’identità che si è costruita sulla base di convinzioni che chiameremo convinzioni identitarie. La caratteristica epistemica di alcune di queste convinzioni identitarie è che servono a screditare fonti avverse alla pratica di indagine4INDAGINE – Pratica del raccogliere, soppesare e valutare le prove a nostra disposizione in relazione alla domanda, o alle domande, di nostro interesse, al fine di formarci credenze vere e/o rivedere credenze false su di essa (cfr. Capitolo 3. Indagine). del gruppo. A tal proposito, è importante sottolineare che la camera dell’eco, a differenza delle bolle epistemiche, comporta un meccanismo di discredito epistemico e non opera semplicemente omettendo alcune fonti potenzialmente rilevanti.

Un esempio di camera dell’eco, che concerne la distanza generazionale, è un atteggiamento di discredito diffuso che gli adulti hanno delle opinioni e delle idee dei bambini su questioni come l’origine del mondo o il funzionamento delle istituzioni che, talvolta, risultano indubbiamente suggestive e originali. Ciò che è giudicato in molti casi possibile da un bambino, è tipicamente escluso dal genitore adulto. Si pensi ai processi deliberativi degli adulti, nella nostra società, che hanno a che fare con questioni politiche e sociali. Vi è la tendenza diffusa da parte degli agenti epistemici adulti a omettere sistematicamente le considerazioni e i ragionamenti dei bambini, giudicando come attendibili solamente le opinioni di altri agenti epistemici adulti – simili dal punto di vista generazionale. Una questione interessante è se questo tipo di esclusione dei bambini sia epistemicamente un bene: in linea con quanto sostenuto dalla Philosophy for Children inaugurata da Matthew Lipman (Lipman 2003) molte riflessioni legate alla pratica della filosofia con i bambini, ad esempio, vogliono difendere l’idea che, per quanto riguarda alcuni processi deliberativi legati alla discussione filosofica, lo screditare le riflessioni dei bambini sia un vizio epistemico.

Un terzo concetto, che giocherà un ruolo fondamentale in quanto segue, è quello di teoria del complotto. Sebbene vi sia una discussione accesa, sia sul web sia in sedi accademiche più controllate, su come definire questo fenomeno sempre più presente nei media, non vi è al momento un accordo. Di fatto, c’è molta confusione al riguardo e l’espressione “teoria del complotto” viene spesso usata in modi inopportuni, semplicemente come un termine ombrello per delegittimare opinioni e narrazioni dei fatti che ci appaiono apertamente false e/o del tutto fantasiose se non assurde, ma che, tuttavia, non sempre implicano la presenza di un complotto. Questo atteggiamento non contribuisce di certo a fare chiarezza; al contrario, rischia di farci perdere di vista la vera portata epistemica e sociale delle teorie del complotto, soprattutto nei contesti che sono l’oggetto di studio di questa monografia. Una teoria del complotto, per come la intendiamo in questo saggio, è una teoria che offre una narrazione alternativa di un evento o fenomeno rispetto a quella offerta da fonti considerate ufficiali, basandosi sulla convinzione che vi sia una cospirazione dietro le quinte – spesso di natura politica – messa in scena al fine di manipolare l’opinione pubblica a proprio vantaggio (si veda Cassam 2019a per una trattazione meno minimale delle teorie del complotto e il volume speciale di Argumenta edito da Räikkä – Räikkä 2018 – per una discussione critica). Spesso il meccanismo della cospirazione si basa sulla convinzione che enti istituzionali (come università, istituti di ricerca, industrie, governi, ecc.) producano intenzionalmente prove fittizie e fuorvianti in relazione a un certo evento o ambito di discussione (ad esempio, la forma della Terra, i danni causati dal fumo, la relazione tra vaccini e autismo) al fine di sviare l’attenzione dell’opinione pubblica da una verità nascosta. È importante sottolineare che, di per sé, il concetto di teoria del complotto non ha necessariamente una connotazione negativa. Il più delle volte, le teorie del complotto vengono associate, correttamente, a casi di spiegazioni alternative di fatti noti che sono tendenziose e fuorvianti – un esempio molto noto è quello dell’allunaggio della spedizione Apollo nel 1969: secondo alcuni, questo evento non sarebbe mai avvenuto e la documentazione visiva sarebbe stata prodotta dalla NASA con l’aiuto di Stanley Kubrick. Tuttavia, non sempre l’ipotesi di una qualche cospirazione che agisce nei retroscena di una spiegazione “istituzionale” di un certo evento è da considerarsi irrazionale o immotivata. Infatti, vi sono state anche teorie della cospirazione che sono risultate vere, come nel caso delle multinazionali del tabacco che hanno commissionato studi ad hoc per sollevare dubbi sulle prove scientifiche riguardo ai danni per la salute provocati dal fumo (per un approfondimento, si veda Oreskes, Conway 2010).

Alla luce di quanto detto, occorre quindi considerare il concetto di teoria del complotto così come l’abbiamo definito come neutrale dal punto di vista valoriale – o, quanto meno, non attribuire necessariamente a esso una connotazione negativa. Il problema, come vedremo nel dettaglio più avanti, sorge quando l’attribuzione di una cospirazione a una determinata narrazione “istituzionale” viene avanzata in assenza di prove valide e viene ad assumere, all’interno di una bolla epistemica, un ruolo epistemico chiave, divenendo immune a qualsiasi tipo di controprova. Al fine di illustrare nel dettaglio questo meccanismo, occorre introdurre e discutere più da vicino il quadro normativo dell’indagine.

Continua a p. 2 – 5.2. Filtri epistemici

Continua a p. 3 – 5.3. Il ruolo dei filtri epistemici nella post-indagine

Continua a p. 4 – 5.4. Modello della struttura della normatività epistemica con filtri epistemici