4. POST-VERITÀ E POST-INDAGINE

In questo capitolo, per prima cosa presentiamo tre modelli esplicativi della post-verità che illustrano tre tipologie diverse di fenomeni spesso correlati alla post-verità (cfr. paragrafo seguente) e poi spieghiamo in che senso questi modelli costituiscono un approccio pluralista alla post-verità – il modello della post-indagine.

4.1. Post-verità e post-indagine: tre modelli

Dopo aver visto come i concetti di indagine1INDAGINE – Pratica del raccogliere, soppesare e valutare le prove a nostra disposizione in relazione alla domanda, o alle domande, di nostro interesse, al fine di formarci credenze vere e/o rivedere credenze false su di essa (cfr. Capitolo 3. Indagine). e verità siano intimamente connessi tra loro, offriamo qui un’analisi della post-verità basata sull’ipotesi che i vari fenomeni compresi sotto il termine “post-verità” siano la conseguenza dell’evolversi di pratiche di indagine che hanno subito un qualche tipo di deviazione. Di che deviazione si tratta? L’eterogeneità dei fenomeni che ricadono sotto la categoria di post-verità ci ha persuaso che non vi sia una risposta univoca a questa domanda. Crediamo invece più opportuno elaborare una pluralità di modelli capaci di spiegare la varietà dei modi in cui le pratiche della post-verità comportano deviazioni della struttura dell’indagine, che identificheremo come delle forme di post-indagine. Procediamo quindi col definire tre forme diverse di post-indagine utili a spiegare tre modalità in cui viene deviata la pratica dell’indagine dando così luogo a una serie di pratiche che, se da un lato sono chiaramente imparentate con l’indagine, dall’altro presentano anomalie importanti.

La prima modalità, che chiameremo indagine circa i post-fatti, consiste in una pratica in cui i partecipanti, che chiameremo post-indagatori, si concepiscono come appartenenti a interpretazioni del mondo alternative, tra loro isolate, in cui vengono scoperti i post-fatti: questi possono essere intesi come “fatti” diversi e mutualmente incompatibili coi fatti2FATTI – Anche chiamati “stati di cose”, sono quegli aspetti della realtà che rendono vera una proposizione. scoperti nel corso dell’indagine scientifica. L’indagine circa i post-fatti delinea una pratica che richiama le tesi del relativismo aletico affrontato precedentemente (p. 40). Presenteremo questo modello nel prossimo paragrafo.

La seconda modalità attraverso cui le anomalie dell’indagine si manifestano è quella che chiameremo indagine svolta tramite le post-prove. In questo tipo di post-indagine viene alterata la natura delle prove che il post-indagatore considera nel prendere parte alla pratica. Invece di formare, o rivedere, giudizi per cui, come abbiamo visto prima, la verità fornisce un doppio standard, il post-indagatore si forma e rivede le sue credenze dando maggior peso a prove di natura soggettiva. Questo modello viene discusso nel paragrafo Post-prove. L’indagine condotta tramite le post-prove si avvicina molto alla caratterizzazione della post-verità fornita da Oxford English Dictionary e, pur essendo utile a modellare alcuni fenomeni relativi alla post-verità, non esaurisce, nemmeno insieme all’indagine circa i post-fatti, la sfera dei fenomeni che vanno sotto il termine-ombrello “post-verità”. Riteniamo quindi che si debba prestare attenzione anche a una terza modalità di deviazione dalla struttura dell’indagine, che chiameremo indagine governata dalle post-norme. Questo terzo concetto di post-indagine serve a descrivere una pratica di ricerca regolata da norme epistemiche diverse da quelle dell’indagine – che chiamiamo post-norme. Le post-norme sono il risultato di una distorsione delle norme dell’indagine, che altera radicalmente il modo in cui queste vengono applicate. Svilupperemo questo modello nel paragrafo Post-norme. L’indagine alternativa governata dalle post-norme sarà il modello su cui ci concentreremo nell’ultima parte di questo libro (capp. 5 e 6). A nostro avviso è proprio questo il modello che permette di caratterizzare in maniera interessante le pratiche di negazionismo scientifico che hanno al centro la critica alla ricerca scientifica, come il movimento no-vax (o almeno alcune sue parti) o il terrapiattismo.

4.1.1. Post-fatti

Il 21 gennaio 2017 Sean Spicer, segretario dell’ufficio stampa della Casa Bianca, dichiarò nella prima conferenza stampa della nuova amministrazione Trump che alla cerimonia di insediamento di Trump fosse presente «il pubblico più vasto che abbia mai assistito a un’inaugurazione sia di persona che in tutto il mondo». Diversi giornalisti fecero notare che le prove disponibili relative alle inaugurazioni precedenti smentivano in modo netto l’affermazione di Spicer. Infatti, durante l’inaugurazione della prima presidenza Obama si stima fossero presenti 1,8 milioni di persone, contro (stando alla cifra più ottimistica) le 600.000 persone presenti all’inaugurazione di Trump. Le foto aeree delle folle presenti al National Mall, scattate durante le due inaugurazioni, confermano in maniera piuttosto vivida queste stime. Il giorno dopo la conferenza stampa, Kellyanne Conway, consigliera del neo-eletto Trump, difese l’affermazione di Spicer sostenendo che la sua versione rappresentava dei fatti alternativi – quelli che noi chiamiamo post-fatti. Incalzata da un giornalista del NBC, Conway sostenne che è impossibile sapere come stavano le cose e che l’amministrazione Trump era legittimata a fornire la propria versione dei fatti. Al di là della sincerità o meno di Conway e della sua agenda politica, possiamo interpretare le sue parole in senso più o meno letterale. Secondo l’interpretazione, se vogliamo, più caritatevole il senso dell’intervento di Conway è quello di esprimere il suo supporto per Trump e la sua amministrazione, quindi esprimendo una preferenza piuttosto che una credenza3CREDENZA (O GIUDIZIO) – Quello stato mentale volto a rappresentare la realtà e il cui contenuto consiste in una proposizione che viene presa come vera. nell’esistenza di fatti alternativi (si veda Mason 2018). Se invece prendiamo alla lettera le sue parole – come crediamo debbano essere intese dato che, dopotutto, è stata Conway a usare per prima l’espressione “fatti alternativi” (alternative facts) – ne possiamo evincere una tesi relativista su questioni empiriche del tutto ordinarie come le dimensioni di una folla. Secondo questa forma di relativismo, dal punto di vista degli elettori democratici è falso, e quindi non è un fatto, che la cerimonia d’inaugurazione alla presidenza di Trump avesse più partecipanti di tutte le altre inaugurazioni. Relativamente alla prospettiva dei sostenitori di Trump è invece vero, e quindi è un fatto, all’interno di tale prospettiva, che ci fosse la folla più numerosa della storia ad assistere all’insediamento di Trump.

Chi ha ragione? Prima di rispondere a questa domanda, dobbiamo chiarire a chi la stiamo ponendo. La narrazione maggiormente accreditata nella stampa internazionale (come anche la voce di Wikipedia ‘alternative facts’ dimostra) è che non abbia senso dare lo stesso peso a entrambe le prospettive. Il New York Times, come diversi think tanks, si sono prodigati in verifiche piuttosto complesse volte a dimostrare come tutti gli elementi disponibili portassero inequivocabilmente a pensare che la versione di Spicer fosse clamorosamente errata. Questo tipo di valutazione è frutto di quel gioco di pesatura delle prove che è al centro della pratica che abbiamo chiamato “indagine” nel capitolo precedente. L’indagine è la pratica in cui siamo normalmente immersi quando vogliamo rispondere a delle domande cercando le risposte che, alla luce delle prove (e controprove) disponibili, possiamo ragionevolmente considerare vere. Immaginiamo ora, però, di non partecipare più alla pratica dell’indagine e di prendere invece parte a una pratica di ricerca alterata. In questa pratica, che abbiamo chiamato indagine circa i post-fatti, i partecipanti cercano, come nell’indagine standard, di trovare risposte a domande, ma descrivono il mondo come costituito da insiemi di fatti alternativi tra di loro. Immaginate la realtà come costituita da un insieme di fatti: indagare sulla realtà consiste nel cercare di scoprire quali fatti appartengono a questo insieme. Il post-indagatore che crede nei post-fatti pensa che non vi sia un unico insieme di fatti, ma che diverse indagini possono portare a scoprire insiemi di fatti differenti. Seguendo Goodman 1978, chiamiamo ognuno di questi insiemi “una versione della realtà”. L’idea è quindi che vi sia una pluralità di versioni della realtà, tutte egualmente legittime in quanto non c’è un punto di vista oggettivo che permetta di scegliere quella corretta o che possa comunque permetterci di ordinarle in termini di maggiore correttezza. Le diverse versioni della realtà postulate da questo tipo di post-indagatore possono avere aree comuni – l’intersezione di insiemi di fatti appartenenti alle differenti versioni – ma presentano anche aree separate – vere e proprie isole di realtà divise fra loro. Immaginiamo quindi che l’indagine sia un’indagine su post-fatti: se dovessimo rispondere alla domanda su chi abbia ragione nella disputa sull’inaugurazione della presidenza Trump, allora dovremmo rispondere che hanno ragione entrambi. Vediamo perché. Ogni prospettiva ammette al suo interno un insieme di fatti4FATTI – Anche chiamati “stati di cose”, sono quegli aspetti della realtà che rendono vera una proposizione.. Tali fatti sono tra loro potenzialmente alternativi, nel senso che ciascuno di essi è un fatto all’interno di una data prospettiva, ma non necessariamente un fatto all’interno di altre prospettive. In altre parole, l’insieme di fatti ammessi all’interno di una prospettiva può intersecarsi con l’insieme di fatti ammessi da altre prospettive, pur rimanendo tuttavia un insieme distinto. Tornando al nostro esempio, sebbene all’interno della prima prospettiva, quella empiricamente accertata (che chiamiamo P1), sia un fatto che la folla all’inaugurazione di Trump fosse meno numerosa di quella all’inaugurazione di Obama, all’interno della seconda prospettiva P2 rimane un fatto che la folla all’inaugurazione di Trump fosse la più numerosa nella storia delle inaugurazioni presidenziali degli Stati Uniti. Quindi, a proposito della questione della folla, P1 e P2 sono prospettive alternative: relativamente alla prima è vera l’affermazione che c’era più gente all’inaugurazione di Obama, mentre relativamente alla seconda è vera l’affermazione, incompatibile, che c’era più gente all’inaugurazione di Trump. Ora, dal momento che non vi è, all’interno di questo tipo di post-indagine, una prospettiva privilegiata tra P1 e P2, ciò che è comunemente ritenuta essere una questione empirica oggettiva (le rispettive dimensioni delle folle alle due inaugurazioni) diviene una questione prospettica che ammette l’esistenza di fatti alternativi e quindi di verità alternative.

Una volta introdotto il primo modello di post-verità – ovvero quello dei post-fatti – facciamo alcune osservazioni. Per prima cosa, osserviamo che questa tipologia di post-verità è strettamente connessa all’idea di relativismo aletico discussa nel capitolo precedente: se diverse prospettive danno luogo a fatti alternativi su una stessa questione, allora una stessa proposizione può essere vera relativamente a una prospettiva e falsa relativamente all’altra. Come abbiamo già detto parlando del relativismo aletico, non è scontato né facile avere valide giustificazioni per sostenere una simile posizione. L’atteggiamento dei post-indagatori che credono nei post-fatti presuppone una metafisica estremamente controversa quando la pratica verte su questioni fattuali, come il numero di persone presenti in un luogo. In assenza di una giustificazione per questa metafisica, la pratica di post-indagine dei post-fatti non può che essere giudicata infondata.

Una seconda osservazione è che molta della letteratura sulla post-verità (ad esempio: Ferraris 2017; Maddalena, Gili 2017; McIntyre 2018) identifica le origini del fenomeno nel post-moderno. Nonostante sia una questione complessa caratterizzare il post-moderno, un aspetto centrale di questa corrente variegata di pensiero è la tesi secondo cui oggettività e verità siano concetti da rifiutare o quantomeno da indebolire (Vattimo, Rovatti 1983). Il relativismo sarebbe quindi un esito naturale del post-moderno. In Italia, ad esempio, filosofi come Gianni Vattimo sono partiti da premesse post-moderne, come la filosofia del pensiero debole, per poi approdare a tesi esplicitamente relativiste (Vattimo 2009). È quindi plausibile rintracciare le radici intellettuali del primo modello di post-verità nel post-moderno (Dell’Utri 2020, Forstenzer 2018). Tuttavia, come fa notare Anna Maria Lorusso (Lorusso 2018), questo non significa che sia altrettanto plausibile ritenere che vi sia un’influenza diretta (o addirittura causale) tra la diffusione delle opere di autori post-moderni (ad esempio, Jacques Derrida o Bruno Latour) e le tesi sostenute in certi dibattiti spesso citati in connessione alla post-verità (per tornare al nostro esempio, è possibile che Conway non abbia idea di che cosa sia il post-moderno né di chi sia Derrida).

Una terza osservazione è che il modello basato sui post-fatti viene a declinare il principio, d’ispirazione nietzschiana, secondo cui non ci sono fatti ma solo interpretazioni. Al di là delle complesse questioni esegetiche che stanno dietro all’attribuzione di questo principio al pensiero di Friedrich Nietzsche, molti filosofi di stampo post-moderno hanno trovato congeniale questa formulazione e il prospettivismo radicale a essa connesso (si veda Gentili 2017, pp. 120-128, per una collocazione del pensiero di Nietzsche al di fuori dell’anti-realismo). È perciò interessante notare che la post-indagine basata sui post-fatti offre una rappresentazione del principio nietzschiano tramite l’idea che non vi sono fatti assoluti, ma solo diverse interpretazioni, tutte legittime anche se talvolta incompatibili, su quali siano i fatti.

Una quarta osservazione è che l’indagine5INDAGINE – Pratica del raccogliere, soppesare e valutare le prove a nostra disposizione in relazione alla domanda, o alle domande, di nostro interesse, al fine di formarci credenze vere e/o rivedere credenze false su di essa (cfr. Capitolo 3. Indagine). circa i post-fatti sembra essere maggiormente giustificata in relazione a questioni chiaramente soggettive come quelle sul gusto. Se, ad esempio, Filippo e Sebastiano hanno un disaccordo circa la bontà di un certo cibo – diciamo le ostriche – si è inclini a pensare che sia la credenza di Filippo, secondo cui le ostriche sono deliziose, sia quella di Sebastiano, secondo cui le ostriche non sono per nulla buone, sono egualmente corrette in quanto entrambe rappresentano due versioni del mondo alternative dal punto di vista gustativo, ma egualmente legittime. Questo renderebbe giustizia all’intuizione diffusa che ciascuno ha il proprio gusto e che quindi, in un certo senso, de gustibus non disputandum est (per un approfondimento su questioni filosofiche concernenti l’ambito del gusto, si veda Ferrari, Moruzzi 2019). È da notare però che non è circa questo tipo di questioni soggettive che il modello qui discusso ha una funzione esplicativa per i fenomeni della post-verità. Le questioni sulle quali il post-vero opera sono al contrario quelle giudicate tipicamente oggettive, come nel caso di Conway.

Continua a p. 2 – 4.1.2. Post-prove

Continua a p. 3 – 4.1.3. Post-norme

Continua a p. 4 – 4.2. Una pluralità di fenomeni