6. LA STRUTTURA NORMATIVA DELLA POST-INDAGINE

Chiariti i presupposti, procediamo introducendo e discutendo le Figure 4 (qui in basso) e 5 (a p. 2) volte a illustrare la dinamica dei filtri epistemici relativamente a una pratica d’indagine1INDAGINE – Pratica del raccogliere, soppesare e valutare le prove a nostra disposizione in relazione alla domanda, o alle domande, di nostro interesse, al fine di formarci credenze vere e/o rivedere credenze false su di essa (cfr. Capitolo 3. Indagine). su una certa tematica. Esse rappresentano graficamente i vari modi in cui il campo d’azione delle norme viene ristretto (la Fig. 4 è relativa alla norma di revisione N1, mentre la Fig. 5 è relativa alla norma per formarsi le credenze N2).

Per scopi illustrativi, ci serviremo nelle due figure di sette tipologie di soggetti che partecipano all’indagine – genericamente, gli indagatori – per capire come le norme possano venire ristrette. Verranno rappresentati i seguenti personaggi: lo scettico, l’acritico, l’indagatore cauto, l’indagatore incauto, il complottista, lo scienziato e il post-indagatore. Mentre gli ultimi due personaggi vogliono rappresentare le pratiche di indagine caratteristiche, rispettivamente, della scienza normale e della post-indagine basata sulle post-norme, i primi cinque servono a illustrare come l’applicazione di filtri epistemici diversi possa dare luogo, in termini astratti, a pratiche di indagine diverse. Ci teniamo a precisare che questi personaggi sono astrazioni volte ad agevolare la comprensione dei meccanismi dei filtri epistemici2FILTRO EPISTEMICO – Modo di regolare l’indagine tale da escludere da essa alcune prove e controprove (cfr. Cap. 5, p. 2)., che non devono quindi essere lette come rappresentazioni accurate di pratiche di indagine reali.

Quando un filtro epistemico restringe il campo d’azione di una norma, chiamiamo ambito della norma rispetto al filtro il campo d’azione risultante dall’applicazione del filtro epistemico. I diversi modi in cui un filtro epistemico opera in relazione alle norme è indicato nelle due figure da diverse cornici: ogni cornice rappresenta lo spazio epistemico3EPISTEMICO – Relativo a conoscenza o giustificazione. all’interno del quale viene condotta l’indagine su una certa tematica, ovvero l’insieme delle proposizioni che sono ammissibili come prove e controprove per l’indagine.

Applicheremo il modello della struttura della normatività epistemica con filtri epistemici per caratterizzare la struttura normativa della post-indagine esemplificata dal terrapiattismo. Utilizzeremo prima il modello in relazione alla norma della revisione (nel paragrafo seguente) e poi alla norma per formarsi le credenze (p. 2); infine, a conclusione del capitolo (p. 2), faremo alcune ipotesi su quale sia la dinamica che induce un soggetto a passare dalla pratica dell’indagine a quella della post-indagine basata sulle post-norme. Al fine di fornire un’analisi completa di come i filtri modifichino le pratiche di indagine, si dovrebbe includere una discussione dell’interazione tra le due norme. Tuttavia, per semplicità di esposizione, tralasceremo questo elemento.

6.1. Rivedere le proprie credenze nella post-indagine

Consideriamo nuovamente la norma della revisione:

Norma della revisione (N1): a un soggetto è epistemicamente richiesto di rivedere la propria credenza che p se, e soltanto se, acquisisce una controprova che comprometta la sua credenza.

Se introduciamo un ambito di azione della norma relativamente a un filtro epistemico, dobbiamo riformulare N1 come segue:

Norma della revisione* (N1*): a un soggetto è epistemicamente richiesto di rivedere la propria credenza che p se, e soltanto se, all’interno dell’ambito filtrato dal filtro epistemico, acquisisce una controprova che comprometta la sua credenza.

A seconda del filtro epistemico adottato da un certo circolo epistemico, la norma N1 escluderà (per omissione o discredito) certe proposizioni come controprove potenziali ammissibili per la revisione delle credenze.

La Figura 4 (così come la Figura 5, p. 2) rappresenta insiemi di proposizioni che esprimono controprove (o prove, cfr. Fig. 5) ammissibili a un indagatore che svolge un’indagine su una certa tematica. L’indagatore appartenente a una delle cinque pratiche di indagine si colloca in un’area specifica della figura che è divisa, perciò, in cinque aree: quattro aree interne che rappresentano quattro insiemi di proposizioni, tre dei quali sono sottoinsiemi del primo insieme per via dell’applicazione di un filtro epistemico4FILTRO EPISTEMICO – Modo di regolare l’indagine tale da escludere da essa alcune prove e controprove (cfr. Cap. 5, p. 2)., e una cornice esterna che rappresenta, per così dire, i territori esterni alla pratica di indagine su una certa tematica. In questi territori esterni non vi è alcuna proposizione che possa fungere da controprova (o prova, cfr. Fig. 5) per l’indagine. In altre parole, i territori esterni sono ciò che è al di là dell’indagine relativamente a una certa norma. Vedremo a breve che tipo di agenti epistemici siano questi abitanti dei territori esterni all’indagine. Per rendere meno astratta la presentazione, useremo come esempio l’indagine sulla forma della Terra.
Questo grafico illustra i diversi modi in cui l’ambito della norma di revisione può operare in relazione a ogni tipo di indagine particolare, ad esempio, in relazione all’indagine sulla forma della Terra.

Fig. 4. Grafico relativo all’ambito d’azione della norma di revisione.

Nella parte esterna della figura – ovvero nello spazio esterno all’ambito d’azione della norma di revisione – abbiamo raffigurato un agente epistemico che, relativamente all’indagine sulla forma della Terra, si comporta in modo tale che nessuna controprova ammissibile possa spronarlo a rivedere le sue credenze a tal riguardo. L’agente epistemico che abita i territori esterni della Figura 4 è un acritico.

A differenza degli altri agenti epistemici che illustreremo a breve, le cui indagini sono soggette, anche se in modi diversi, all’azione della norma di revisione, l’indagine dell’acritico è totalmente esente dall’azione della norma di revisione. L’acritico, che nel condurre l’indagine non rivede mai le sue credenze, agisce come se la norma di revisione non si applicasse mai a ciò che già crede (l’ambito d’azione di N1 è vuoto), motivo per cui non si trova all’interno di nessuno dei quattro insiemi di proposizioni-prove. Per l’acritico nessuna proposizione può esprimere una controprova a ciò che crede, quindi, nella misura in cui egli crede qualcosa relativamente alla questione della forma della Terra, ogni sua credenza5CREDENZA (O GIUDIZIO) – Quello stato mentale volto a rappresentare la realtà e il cui contenuto consiste in una proposizione che viene presa come vera. a riguardo sarà assolutamente inamovibile.

Passiamo ora in rassegna i vari insiemi interni alla cornice della Figura 4. Innanzitutto consideriamo l’area più esterna, in cui abbiamo rappresentato l’indagatore cauto.

Costui occupa uno spazio epistemico che possiamo pensare come l’insieme più ampio di controprove ammissibili per la revisione delle credenze. In altre parole, l’indagatore cauto, a differenza degli altri indagatori rappresentati nella Figura 4, ha a disposizione la gamma più vasta possibile di controprove per rivedere le proprie credenze. In questo senso possiamo dire che l’indagatore cauto ha standard epistemici piuttosto esigenti. Per esemplificare quali proposizioni possa contenere questo insieme esterno, abbiamo scelto di includere proposizioni della forma {potrebbe essere il caso che…} come controprove ammissibili per rivedere una credenza. Proposizioni di questo tipo vengono chiamate modali epistemiche in quanto esprimono proposizioni che potrebbero essere di fatto vere in base a quello che crediamo (ad esempio, per quanto ne sappiamo potrebbe essere vero che questo libro verrà letto da tantissime persone, anche se al momento della sua scrittura non ci sono dati su quale successo avrà). La pratica di indagine dell’indagatore cauto è quindi tale per cui l’ambito della norma di revisione N1 include tutte le possibilità epistemiche aperte al soggetto. Possiamo in verità distinguere almeno due diverse tipologie di indagatore cauto: l’indagatore cauto cartesiano e l’indagatore cauto paranoico. L’indagatore cauto cartesiano considera le possibilità epistemiche, in cui siamo sistematicamente ingannati nelle nostre percezioni, come controprove sufficienti per rivedere la credenza su proposizioni empiriche basate sulla percezione. Un indagatore cauto cartesiano ammette che proposizioni come {la mia percezione potrebbe essere sistematicamente ingannata} possano fungere da controprova per rivedere proposizioni empiriche come {la distanza angolare rilevata tra la pianura e la cima della montagna è di 25 gradi}, nel caso in cui quest’ultima sia stata creduta sulla base di una nostra lettura della misurazione ottenuta per mezzo di uno strumento apposito. Se infatti fosse vero che i miei sensi non sono affidabili, allora non avrebbe senso dare valore alle misurazioni che ricavo, dato che ogni tentativo di leggere tali misurazioni può essere frutto di un inganno percettivo. Ogni qual volta l’indagatore cauto non abbia le risorse per confutare una tale possibilità epistemica, viene innescata la norma di revisione che lo obbliga a rivedere le proprie credenze formate su base percettiva.

I lettori che hanno dimestichezza con lo scetticismo cartesiano apprezzeranno ora come questo ambito della norma di revisione coincida con gli standard che Descartes si era posto per l’indagine – nel suo caso, l’indagine intesa nella maniera più generale possibile. Descartes infatti aveva posto la certezza – tramite l’idea di accettare solo idee chiare e distinte – come standard per la conoscenza. Per questo, solamente le credenze certe sono immuni a controprove modali basate su possibilità epistemiche – vedremo a breve, nella seconda figura relativa alla norma per formarsi le credenze, dove si colloca questo tipo di standard. Se queste certezze non sono disponibili, allora la norma cartesiana di revisione, che include considerazioni di carattere modale epistemico, impone di rivedere le proprie credenze e quindi di sospendere il giudizio su tutte le questioni relative all’indagine. Nel caso in questione, dato che la tematica dell’indagine è la forma della Terra, l’ambito della norma di revisione operativa per l’indagatore cauto impone, in assenza di certezze, di sospendere il giudizio circa ogni proposizione relativa alla forma della Terra. Se estendiamo la tematica a ogni possibile oggetto di indagine, allora l’esito, in assenza di certezze, è quello della sospensione globale del giudizio che porta a uno scetticismo a tutto campo. In altri termini, il progetto fondazionale cartesiano e il suo scetticismo sembrano presupporre questo tipo di struttura normativa dell’indagine. Una caratteristica centrale dell’indagatore cauto cartesiano è che le possibilità epistemiche che sono ammissibili per rivedere le proprie credenze comprendono scenari scettici che, per loro natura, escludono che qualsiasi prova percettiva possa fungere da prova per credere proposizioni empiriche (si può parlare in questo senso di defeaters globali).

Passiamo ora all’indagatore cauto paranoico. A differenza dell’indagatore cauto cartesiano, l’indagatore cauto paranoico accetta come controprove proposizioni modali che rappresentano scenari meno estremi. In questi scenari una certa prova percettiva per credere una proposizione empirica viene resa inefficace da una certa controprova senza escludere – contrariamente a quanto accade negli scenari scettici – che un’altra prova percettiva possa fungere da giustificazione per credere la proposizione (si può parlare in questo senso di defeaters locali). Se, ad esempio, ottengo una misurazione che serve a giustificare la proposizione {La distanza angolare rilevata tra la pianura e la montagna è di 25 gradi}, ma non posso escludere che nell’ultimo minuto i miei sensi siano stati vittime di un malfunzionamento, in qualità di indagatore cauto dovrei rivedere la mia credenza sulla distanza angolare della montagna. Se però avessi fatto altre rilevazioni più di un minuto fa, misurando la distanza angolare di 25 gradi tra pianura e montagna, la proposizione modale {la mia vista potrebbe aver funzionato male nell’ultima misurazione} perderebbe l’ammissibilità di controprova utile a rivedere la mia credenza sulla distanza angolare della montagna. A differenza dell’indagatore cauto cartesiano, l’indagatore cauto paranoico introduce sistematicamente dubbi locali che, in linea di principio, pur essendo presenti per ogni specifica proposizione empirica, possono essere eliminati per via di considerazioni indipendenti.

Passiamo ora alla regione più interna, ovvero quella occupata dallo scienziato/ricercatore standard.

Qui le proposizioni modali vengono filtrate e non sono più ammissibili come controprove nella norma della revisione. L’indagine sulla forma della Terra ammetterà allora prove e controprove empiriche come osservazioni dell’orizzonte o foto satellitari. Chiamiamo “scienziato” l’indagatore che abita questa regione, dal momento che il tipo di indagine si avvicina molto a quella che viene praticata in quella che Thomas Kuhn ha chiamato scienza normale (Kuhn 1970, pp. 35-42).

Se però si hanno dei sospetti su alcune delle istituzioni che regolano la pratica dell’indagine dello scienziato, allora ci si rifiuterà di accettare le prove e le controprove prodotte da queste. I sospetti potrebbero dare adito a una teoria secondo cui alcune istituzioni sono state infiltrate da lobby economiche che hanno interesse a tenere all’oscuro la popolazione sulla forma della Terra, ad esempio, al fine di deviare fondi su una finta ricerca spaziale. Sia le prove che le controprove prodotte da queste istituzioni saranno quindi escluse dal filtro epistemico in quanto fasulle: saranno cioè screditate epistemicamente. Chiameremo l’indagatore che abita questa area complottista.

Per quanto la pratica d’indagine del complottista possa sembrare irragionevole, la teoria del complotto alla base del filtro epistemico rimane però in linea di principio verificabile o falsificabile tramite prove e controprove ammesse dalla sua stessa pratica. Se il complottista scoprisse tramite controlli indipendenti da quell’istituzione che le prove e le controprove prodotte dalle istituzioni incriminate sono affidabili, allora sarebbe razionale per lui ridurre o abbandonare la credenza nella teoria del complotto. In una situazione del genere la prassi del complottista è soggetta a un mutamento che può portare alla rimozione del filtro epistemico e quindi allo spostamento dell’indagine in un’area plausibilmente più prossima a quella dello scienziato.

Quando la teoria del complotto viene resa immune da ogni possibile controprova dal tipo di fonte su cui verte il filtro, allora il filtro epistemico produce una pratica che è immune da ogni modifica dell’ambito della norma di revisione. In questo modo si determina una vera e propria camera dell’eco – come è stata definita in precedenza – entro la quale agisce il post-indagatore.

L’ipotesi del complotto del terrapiattismo è esattamente di questo tipo: nessuna istituzione scientifica è affidabile, quindi nessuna controprova che provenga da un’istituzione scientifica potrà mai ricevere alcun credito epistemico. Rispetto alle istituzioni scientifiche, il terrapiattismo si pone quindi come una pratica epistemicamente isolata e avversa, che tramite il discredito sistematico di ogni controprova proveniente da esse rafforza l’identità anti-istituzionale della comunità di ricerca dei terrapiattisti. In questo senso, il terrapiattismo costituisce una pratica di post-indagine, perché comporta una distorsione normativa difficilmente reversibile o integrabile con altre pratiche di indagine. Abbiamo collocato il post-indagatore nell’area più interna del grafico in quanto la post-indagine è quella pratica che attiva i filtri epistemici più forti, escludendo dall’ambito della norma di revisione tutte le controprove raccolte e/o prodotte da organizzazioni istituzionalmente riconosciute (istituti di ricerca, università, giornali, ecc.).

In conclusione, possiamo dire che i filtri per la norma di revisione sono una funzione di selezione delle controprove ammissibili per la revisione di una credenza. Ogni filtro determina la struttura normativa di un’indagine modificando l’ambito della norma di revisione per mezzo dell’esclusione di tutte le controprove che sono incompatibili con la proposizione filtrante. Una caratteristica delle teorie della cospirazione e della post-indagine basata sulle post-norme è che il filtro opera per discredito sulle fonti epistemiche istituzionali. Più nello specifico, questo filtro dà luogo a una camera dell’eco in cui vengono screditate tutte le possibili controprove della proposizione filtrante (ipotesi del complotto) che provengono da tutte le fonti epistemiche istituzionali.

Continua a p. 2 – 6.2. Formarsi delle credenze nella post-indagine