Nella premessa alla recente edizione Bompiani del De Ente et Uno si suggerisce di riportare il contrasto sul Parmenide, sul quale la concordia ficiniana e pichiana divergono, alla nozione di “dialettica” difesa dall’uno e dall’altro filosofo. Mentre per Ficino si tratta di un esercizio retorico al quale la filosofia è aliena, la dialettica di Pico costituisce il primo grado di un’ascesa conoscitiva e spirituale (Ebgi 2010, pp. 134-135). C’è forse qualcosa in più: la «dialectica quaedam exercitatio», che il secondo capitolo del trattato attribuisce al Parmenide, sembra essere quella scienza dianoetica che Platone premette alla noesi nell’ambito stesso dell’episteme. L’exercitatio dialettica che ha in mente Pico, anziché rappresentare un gioco retorico, sembra essere la palestra nella quale la dianoia si affida a dimostrazioni che utilizzano le ipotesi e si serve di immagini sensibili rappresentative della idee, compiendo una sorta di dressage non alternativo, bensì preliminare, all’intellezione. Una nozione di dialettica, questa di Pico, che è paradossalmente più platonica di quella che ha in mente Ficino, quando, nel suo Commento al Parmenide, reagisce all’interpretazione avanzata da «ille iuvenis».

Proprio perché la concordia cui mira il De Ente et Uno non si basa sulla subordinazione, ma sull’integrazione delle differenze, può realizzarsi mediante una disposizione delle diverse posizioni su piani logico-argomentativi distinti, corrispondenti in qualche modo ai «gradi» della conoscenza che l’uomo può avere di Dio. Ciò non significa che Pico abbia in mente una struttura rigida e catalogatoria entro la quale allocare argomenti e interpretazioni. Si tratta semmai di un sistema dinamico e sfaccettato entro il quale si acclara la compatibilità di fonti diverse sul medesimo piano argomentativo, mentre i motivi peculiari di un autore o di una tradizione di pensiero non vengono negati bensì disposti su piani diversi per fare spazio ad argomentazioni evinte da altri contesti. Istanze propriamente neoplatoniche sono evidenti al grado più alto dell’analisi del rapporto Uomo-Dio ove Pico, attraverso lo Pseudo-Dionigi e verosimilmente anche Simplicio, recupera temi presenti anche nella riflessione di Damascio.

L’argomentazione pichiana nel De Ente et Uno sembra mirare a tre risultati fondamentali:

  • 1) sia Aristotele sia Platone sostengono l’uguaglianza dell’Ente e dell’Uno e non la superiorità dell’Uno sull’Ente;
  • 2) si può sostenere la superiorità dell’Uno sull’Ente determinato, intendendo l’Uno come Ipsum esse;
  • 3) il grado più alto della conoscenza di Dio consiste nel riconoscerne la totale trascendenza e la totale alterità rispetto a qualsiasi determinazione o predicazione.

L’istanza che guida Pico verso la «Divina Caligo» è quella, neoplatonica, della totale ineffabilità di Dio. La prospettiva concordista lo sollecita a individuare nella mistica dello Pseudo-Dionigi, nella quale i concetti di Uno e di Dio totalmente ineffabile sono separati, l’accordo tra orientamenti diversi, tutti inadeguati se assunti in termini assoluti e dogmatici, ma tutti assorbiti via negationis nella loro parzialità, occasionalità e contingenza. A questo proposito Pico, citando un passo importante della Teologia mistica, scrive:

volgendosi a queste profondità Dionigi Areopagita, dopo tutto ciò che scrisse nella Teologia simbolica, nelle Istituzioni teologiche e nel trattato Sui nomi divini, infine, al termine della Teologia Mistica […] ha esclamato: non è verità, né regno, né sapienza; non è uno né unità né deitas né bontà né spirito, per quello che possiamo sapere, né gli conviene la denominazione di padre o di figlio, non è nulla di quelle cose note a noi o a chiunque altro nel mondo, né è alcuna di quelle che sono né di quelle che non sono (Pico 2010; Dionigi Aeropagita 2009, p. 239).

Nella sua terza lettera ad Alessandro Cittadini, Pico, riferendosi ancora allo Pseudo-Dionigi, ribadisce l’idea della superiorità di Dio rispetto a qualsiasi nome: «Dio, secondo Dionigi, è superiore ad ogni nome, anche a quello di “Dio”, come scrive nel De Mystica Theologia» (Pico 2010, p. 343). L’idea, che Pico riprende dallo Pseudo-Dionigi, di un Dio totalmente altro e irriducibile a qualsivoglia determinazione, persino a quella di Dio stesso, è simile alla concezione del principio ineffabile superiore all’Uno di Damascio (Napoli 2005, pp. 183-2081Napoli, V. (2005) Conoscibilità e inconoscibilità dell’Uno nella lettura di Damascio della Repubblica di Platone, Pan, 23: 183-208.). Si tratta di un elemento importante per meglio intendere il rapporto di Pico non solo con lo Pseudo-Dionigi (da alcuni studiosi identificato con lo stesso Damascio), ma anche con Simplicio.

La versatilità di una prospettiva che, nell’escludere ogni parzialità definitoria, supera anche la divergenza radicale tra opposizioni permette a Pico di sancire l’accordo tra Platone e Aristotele, definendo non tanto la coincidenza – ontologica, teologica e dogmatica – dell’Ente e dell’Uno, quanto il modo in cui possono essere assunti come coincidenti e, d’altro canto, può garantire l’idea neoplatonica di trascendenza, ponendola su un piano argomentativo diverso, ma non contrario, a quello delle posizioni platoniche e aristoteliche. È nel solco della tradizione neoplatonica – seguendo Damascio, Simplicio e lo Pseudo-Dionigi – che Pico cerca di soddisfare una doppia e fondamentale istanza: quella di avvicinare Aristotele e Platone sul terreno dei rapporti tra l’Uno e l’Essere, ma senza rinunciare al principio della radicale alterità di Dio.

Il concetto di Uno che Pico elabora viene utilizzato, nell’opuscolo del 1491, sia a favore dell’identità tra Ente e Uno, sia per contemplare la superiorità di questo su quello. Nel primo caso il concetto di Uno-Tutto funziona quale medio della dimostrazione; nell’altro, ammessa la distinzione tra essere ed ente, si conclude che l’Uno-Essere, e cioè Dio, è «tutte le cose in unità» in quanto principio unitario di tutte le cose, come «l’unità è il principio di tutti i numeri» (De Pace 2002, p. 264).

L’influenza del pensiero dello Pseudo-Dionigi coinvolge la parte centrale del trattato pichiano e precisamente quella nella quale viene affrontato il significato della trascendenza secondo i (neo)platonici. Per Pico è possibile ammettere fino in fondo la trascendenza, ma in un senso diverso da quello di chi seguendo Plotino – e Pico qui sta probabilmente pensando a Ficino – ha affermato che l’Uno è oltre all’Ente «in modo assoluto» (Pico 2010, p. 238). Secondo Pico, occorre porre Dio oltre tutti i nomi, oltre all’Uno, oltre all’Essere, oltre a tutto, nella «Divina Caligo». Attraverso i quattro gradi dell’ascesa verso quella tenebra in cui Dio ha posto la sua dimora, si può pervenire a un’autentica sapienza dell’essere assoluto, che è «conoscenza del fatto che l’essere stesso non solo è superiore a quei nomi, ma si trova oltre qualsiasi nome che possa essere da noi concepito e supera ogni nostra possibile conoscenza» (Pico 2010, p. 237).

Non nella luce, ma nella tenebra in cui vive Dio cadono tutte le opposizioni concettuali e all’uomo non resta che il silenzio. Non è però solo sul motivo della trascendenza che lo Pseudo-Dionigi va in soccorso a Pico: la Teologia Mistica è espressamente citata, nel quinto capitolo del De Ente et Uno, a sostegno della tesi secondo cui Dio è superiore a tutti i nomi. L’argomentazione dionisiana è il fulcro intorno al quale ruota l’esposizione, specie per quanto attiene alla delimitazione di spazi di discorso diversi, connessi in un’unica struttura di senso, nella quale tesi apparentemente discordanti si risolvono e coincidono.

Così nel terzo capitolo della Teologia Mistica, lo Pseudo-Dionigi, definendo gli ambiti e gli spazi in cui s’è mossa la riflessione nelle sue opere precedenti, delimita al contempo una struttura in cui discorsi differenti intorno a Dio diventano parimenti sostenibili, sulla base di logiche diverse:

nelle nostre Istituzioni teologiche abbiamo celebrato i punti principali della teologia affermativa […] nel libro Sui Nomi Divini si è spiegato come egli si chiami Buono, Essere, Vita, Sapienza, Potenza e tutti gli altri nomi intelligibili di Dio. Nella Teologia Simbolica, poi abbiamo esposto quali sono i nomi ricavati dalle cose sensibili per riferirli alle cose divine […] così ora [con la Teologia Mistica] penetrando nella caligine che sta sopra alla intelligenza, troveremo non la brevità delle parole, bensì la mancanza assoluta di parole e di pensieri (Dionigi Aeropagita 2009, pp. 411-412).

Si tratta di un itinerario conoscitivo molto vicino a quello che Pico traccia nel De Ente et Uno per congiungere, in un unico discorso a più voci, le filosofie del passato.

Vi è un livello in cui i nomi ricavati dalle cose sensibili sono riferibili alle cose divine ed è quello nel quale da tali nomi viene eliminato «ciò che li fa imperfetti» (Pico 2010, p. 237). E tuttavia oc-correrà ammettere, con Dionigi l’Areopagita, la superiorità di Dio rispetto a questi nomi, anche qualora vengano pensati nella loro perfezione «onde di nuovo diciamo che Dio è oltre l’essere, oltre il vero, oltre l’uno, oltre il buono, perché è l’essere in sé, la verità in sé, l’unità in sé, la bontà in sé» (Pico 2010, p. 413). Anche per Pico, come per lo Pseudo-Dionigi, è la «mancanza assoluta di parole e di pensieri» il livello conoscitivo più alto (Pico 2010; Dionigi Ae-ropagita 2009, p. 412).

La distinzione dei momenti del discorso su Dio, che lo Pseudo-Dionigi traccia ripercorrendo le tappe della sua opera, sono per Pico uno degli accordi attraverso i quali armonizzare tesi diverse. In un primo momento Dio è l’Uno o l’Essere, successivamente si «combatte l’insufficienza dei nomi» affermando che Dio è oltre l’Essere e oltre l’Uno; infine non resta che il silenzio di fronte alla totale ineffabilità di Dio. Entro questo schema le tesi di Aristotele, di Platone, dei (neo)platonici, di Tommaso e di molti altri superano le reciproche contraddizioni. Ma va anche detto che, rispetto a questa esigenza, il neoplatonismo dionisiano presenta indubbie analogie con la concezione di Damascio.

Pico non scrive apertamente di Damascio in nessuna delle sue opere, lo cita però nell’Oratio insieme a Olimpiodoro, due autori nei quali «risplende quel che di divino, che è nota caratteristica dei platonici» (Pico 1942, p. 143). Non è dimostrabile che Pico avesse una conoscenza diretta dell’opera di Damascio, ma è condivisibile l’ipotesi che il giovane filosofo potesse aver letto uno dei pochi manoscritti di Damascio disponibile nel Quattrocento, il Laurenziano 86, 5 della Medicea privata, che contiene sia il testo dei Primi Principi, sia il commento al Parmenide (De Pace 2002, p. 25). Ad ogni modo, Damascio, che pure Pico non esita a contestare riguardo all’interpretazione del Parmenide e del Sofista, offre ulteriori spunti e conferme all’architettura concordista pichiana. All’inizio del trattato sui Primi Principi, Damascio si chiedeva se l’Uno dovesse essere inteso come parte del tutto, o come ciò che è al di là del tutto (Damascius 1986-1991, p. 1842Damascius (1986-1991) Traité des premiers principes, 3 voll. Texte établi par L. G. Westerink et traduit par J. Combés. Paris: Les Belles Lettres.).

Damascio proseguiva precisando il modo in cui si può considerare il tutto. Può essere inteso come molteplice e allora possiamo porre l’Uno come principio; ma in tal modo arriveremmo da una parte a un tutto «unificato» e dall’altra a un’aporia nell’uno stesso (Uno-Tutto). Insieme alle contraddizioni derivanti dal ragionamento sull’Uno come principio, Damascio postulava la necessità dell’assoluta ineffabilità del principio primo. In altri termini, Damascio riduce «all’impossibile logico, all’assurdo, la questione del principio su cui fonda qualsiasi discorso neoplatonico, ne tenta tuttavia una soluzione positiva interpretando a modo suo il carattere dell’ineffabilità o indicibilità del principio medesimo» (Romano 1998, p. 1633Romano, F. (1998) Il neoplatonismo, Roma: Carocci.). Per divinazione l’anima avverte che, comunque il tutto sia concepito, c’è un principio che sta oltre e che non è coordinato con il tutto. Un principio che, a rigore, non è «principio», né «causa», non è «primo», né «anteriore», né «al di là del tutto», ancor meno può essere detto «tutto» e non deve essere né proclamato, né concepito, né presupposto (Damascius 1986-1991, pp. 4-6). Frantumando l’Uno in tre principi, Damascio ribalta la teoria del primo principio nell’ineffabile, nell’«inconoscibile», nel «segreto».

Il carattere ineffabile del primo principio in Damascio lo avvicina al Nulla e lo collega a «un vertiginoso e destabilizzante incedere nel vuoto (kenembatei’n)» (Napoli 2005, p. 191). Il pensiero razionale di Damascio si apre così, per via apofatica, a un esito mistico e irrazionale, a un «cadere nell’ineffabile» che è davvero molto simile al «venir meno» a cui accenna Pico citando i Salmi (Pico 2010, p. 239).

Senza, con ciò, sostenere la tesi di una conoscenza diretta di Damascio da parte di Pico, merita sottolineare come la riflessione pichiana resti nell’ambito di una porzione precisa della tradizione neoplatonica, per molti aspetti osteggiata da Pico per lo iato insuperabile con l’aristotelismo, e da quella non esiti a ricavare suggestioni metodologiche.

Quello con Ficino non fu l’unico contrasto suscitato dalla pubblicazione del De Ente et Uno. La complessità e l’originalità dell’opuscolo diedero adito a un acceso scambio epistolare tra Pico e il medico e filosofo faentino Antonio Cittadini. Aristotelico “di scuola”, erudito non particolarmente originale, all’indomani dell’uscita dello scritto dedicato al Poliziano, il Cittadini accusava per lettera il Conte della Mirandola di fraintendere le opinioni dei (neo)platonici e degli aristotelici (Pico 2010, pp. 273-417). Le risposte che Pico diede alle obiezioni formulategli dal medico faentino e, più in generale, la polemica tra i due interlocutori esplicita-no ulteriormente alcune delle proposizioni e delle argomentazioni affidate ai brevi capitoli del De Ente et Uno. Niente a che vedere con lo spessore teorico e l’acutezza interpretativa del dibattito con Ficino, anche se va riconosciuto come le obiezioni del medico di Faenza non siano banali e spesso colgano i punti centrali dell’argomentazione pichiana.