3. Dialettica e dogmatica

Se è vero che l’obiettivo del filosofo è comprendere e mostrare la concordia di pensieri diversi, è altrettanto vero che una tale ricerca non può che svilupparsi, per Pico, sul terreno dello scontro e della disputa. La sua concezione della filosofia è quella di una inesausta ricerca del vero che passa necessariamente attraverso una conflittualità insita anche nell’opera e nella vita del filosofo. È per questa ragione che nell’oroscopo del filosofo c’è Marte e che la vera filosofia sta solo nella tensione della ricerca. A questo proposito, Anna De Pace ha giustamente parlato di un «uso educativo e metodologico della scepsi» (De Pace 2002, p. 151De Pace, A. (2002) La scepsi, il sapere e l’anima. Dissonanze nella cerchia laurenziana, Milano: LED.) come elemento fondante della concezione pichiana di una filosofia che non sia «somniculosa et dormitans». Anche secondo Albano Biondi, la caratteristica più vera della filosofia pichiana è «la passione dialettica per lo scontro delle idee, senza di che la filosofia è destinata a restare una pratica sonnolenta» (Pico 1995, pp. XXIII-XXIV2Pico, G. (1995) Conclusiones nongentae. Le novecento tesi dell’anno 1486. Edizione a cura di A. Biondi. Firenze: Olschki.).

Fedele a questa idea, il De Ente et Uno, occasionato da una disputa – quella di Poliziano contro Ficino e Lorenzo il Magnifico – ne ingenerò a propria volta altre. La complessità dell’opuscolo del 1491 e l’originalità con la quale Pico avvicina temi e testi capitali della rinascita platonica del Quattrocento italiano mettono in luce differenze non solo esegetiche, ma principalmente filosofiche, con il pensiero di Marsilio Ficino.

Differenze tanto più interessanti in quanto si inseriscono in un confronto dialettico aperto tra i due filosofi, i quali, senza mai dissimulare le differenze rispettive entro un dialogo che persiste serrato, propongono l’autentica complessità teorica di un Rinascimento propriamente filosofico che non si fa mai scuola, ma che si definisce come movimento intorno alla pluralità dinamica delle posizioni assunte, difese, confutate e composte. Un Rinascimento spesso ignorato o misconosciuto dalla storiografia nella propria originalità teoretica: come ha scritto Massimo Cacciari, «la rivendicazione del valore speculativo dell’umanesimo italiano, e in particolare della rinascenza platonica inaugurata all’epoca del Concilio di Firenze, è un compito che attende forse ancora di essere pienamente assolto» (Pico 2010, p. 453). E questo non perché il Rinascimento sia realmente privo di teoria e originalità, ma perché l’aspetto della novità teorica è difficile da isolare nella gamma delle variazioni e degli intrecci, nella frantumazione di paradigmi obsoleti e nella diffidenza a darsi una veste sistematica. Annarita Angelini e Pierre Caye, nella loro introduzione al volume Il pensiero simbolico nella prima età moderna, hanno sottolineato come il Rinascimento non sia «né un periodo, né una filosofia», bensì «un atelier prima ancora che un epistème, nel quale si compongono in maniera originale e si moltiplicano esperienze, concetti, motivi, che affondano le loro origini in tradizioni dottrinali antiche ed eterogenee e che sono destinati ad esiti altrettanto diversi» (Angelini, Caye 2007, pp. VII-XIV3Angelini, A., Caye, P., a cura di (2007) Il pensiero simbolico nella prima età moderna, Firenze: Olschki.).

Una diversa idea di concordia e di continuità filosofica è quella che emerge nel contrasto tra Ficino e Pico sull’Uno e sull’Ente, la quale, oltre a fare luce su due personalità filosofiche diverse eppure produttivamente dialoganti, immette nel quadro più ampio del di-battito filosofico che impegna i pensatori del Quattro e del Cinquecento; un dibattito che non è moderno per gli argomenti che assume, o per le fonti che sceglie, o per l’idea di natura che propone, ma perché apre discontinuità profonde e spesso irreversibili con i modi e i criteri della filosofia anteriore, a partire dai margini di liceità interpretativa delle auctoritates. Un dibattito che rivendica l’assunzione di un metodo autorizzato a frammentare le fonti per recuperare singoli elementi utili alla costruzione di una «nova filosofia». Non un’archeologia del passato, ma un orizzonte teorico che si schiude in vista di nuove proiezioni nel tempo.
Indiscutibile punto di dissenso tra il giovane Pico e il più anziano Ficino riguarda il ruolo da assegnare al Parmenide nel corpus e nella tradizione platonica. Insistere troppo su un conflitto Pico-Ficino sarebbe una forzatura, sebbene le differenze dichiarate non manchino e si siano manifestate esplicitamente a più riprese (Allen 1986, pp. 417-4564Allen, M. J. B. (1986) The second Ficino-Pico controversy. In: G. C. Garfagnini, a cura di, Marsilio Ficino e il ritorno di Platone. Studi e ricerche, Firenze: Olschki, pp. 417-459.). «Un’amicizia che si potrebbe definire tormentata», quella tra i due, non priva di ripercussioni e di echi di più ampio raggio (Gentile 1994a, pp. 127-1475Gentile, S. (1994a) Pico e Ficino. In: P. Viti, a cura di, Pico, Poliziano e l’Umanesimo di fine Quattrocento, Firenze: Olschki, pp. 127-147.). Sappiamo che nel 1482 Pico scriveva a Ficino chiedendogli una copia della sua Theologia platonica e che nel 1484 il Mirandolano è a Firenze proprio in corrispondenza con l’ultimazione della stampa della traduzione ficiniana di Platone. Due anni dopo Pico ricevette da Ficino la traduzione latina di Plotino, la versione latina del De Secta pythagorica di Giamblico e del trattato platonico di Teone di Smirne (Gentile 1994a, p. 127). Lo scambio con Ficino e la disponibilità da questi manifestata non impedirono al giovane filosofo della Mirandola di comporre il Commento alla Canzona d’amore di Girolamo Benivieni nel quale criticava aspramente una delle opere di maggior successo del filosofo di Careggi, il Commentarium in Convivium.

Nella versione del Commento precedente alla stampa, le critiche a Ficino sono molte e piuttosto aspre: «mi maraviglio di Marsilio che tenga con Platone l’anima nostra essere immediatamente da Dio producta; il che non meno alla secta di Proclo che a quella di Plotino repugna» (Pico 1942). Avvalendosi di una conoscenza del greco che molti dei contemporanei non avevano e che li vincolava alle traduzioni latine ficiniane, invitava il lettore a considerare «quanti errori nel primo congresso commetta el nostro Marsilio confundendo in tucto, sol per questo capo e pervertendo ciò che d’Amore parla. Benché oltre a questo in ogni parte di questo tractato abbia commesso in ogni materia errori, come io credo nel processo chiaramente manifestare» (Pico 1942).

Quando, nel 1491, Pico dedicò ad Angelo Poliziano il De Ente et Uno (Viti 1994, p. 1196Viti, P. (1994) Pico e Poliziano. In: P. Viti, a cura di, Pico, Poliziano e l’Umanesimo di fine Quattrocento, Firenze: Olschki, pp. 103-125.), i rapporti con Ficino subirono un nuovo colpo. Uno dei motivi di questo ulteriore scontro è contenuto in un passaggio del testo nel quale si afferma che il Parmenide non sia altro che un’esercitazione dialettica.

Ma io, a proposito del Parmenide, per prima cosa dirò che in tutto il dialogo non viene asserito alcunché di dogmatico; e se anche venisse attestata la posizione di un qualche principio, non si tratterebbe tuttavia di nulla di così esplicito da far attribuire a Platone una simile tesi. Il Parmenide non è certo un’opera dogmatica, poiché interamente è null’altro che una forma di esercizio dialettico (Pico 2010, p. 209).

Ficino, nel suo commento al Parmenide, contesterà a «ille iuvenis» proprio il fatto di aver considerato quel dialogo di Platone come una mera esercitazione dialettica e di non aver capito come si trattasse invece del cuore stesso della teologia platonica (Ficino 1983, p. 11647Ficino, M. (1983) Opera omnia, Torino: Bottega d’Erasmo.). Come è stato ampiamente chiarito, la divergenza tra le due posizioni dipende dal fatto che Ficino, seguendo Plotino e la linea neoplatonica, svolge una lettura teologica del dialogo – dogmatica, la chiama Pico nel De Ente et Uno – che nella sovrapposizione di Uno-Bene riconosce il principio divino, ultimo della realtà, situato «più in là dell’essere» e accessibile soltanto via negationis (Granada 2002, pp. 229-2468Granada, M. A. (2002) Giovanni Pico e il mito della Concordia. In: C. Vasoli, Le filosofie del Rinascimento, Milano: Bruno Mondadori, pp. 229-246.). Tale interpretazione era evidentemente incompatibile con la concezione aristotelica della divinità come essere e intelligenza auto-pensante. Al contrario, Louis Valcke, in un contributo intitolato Giovanni Pico della Mirandola e il ritorno ad Aristotele, parla di una vera e propria aristotelizzazione dell’ontologia e della teologia di Platone da parte di Pico (Valcke 1994, pp. 327-3499Valcke, L., Galibois, R. (1994) Le périple intellectuel de Jean Pic de la Mirandole: suivi du Discours de la dignité de l’homme et du traité L’être et l’un, Sainte-Foy: Presses de l’Université Laval.). In verità, anche di fronte a questa differenza di prospettive, Pico tenta di eludere l’incompatibilità delle due tradizioni intervenendo non sull’uno o sull’altro, ma sull’unilateralità, vale a dire sul carattere «dogmatico», di entrambe.

Procedendo dal principio della coestensione di Ente e Uno e della loro mutua convertibilità, Pico stabilisce comunque una distinzione tra l’ente (ens) e l’essere (esse) a partire dalla quale può convenire con Ficino e con i neoplatonici sul fatto che l’Uno sia superiore all’ens (Granada 2002, pp. 292-243). Una superiorità che però appartiene a Dio in quanto fonte e pienezza di essere; il che non contraddice la Metafisica di Aristotele. Al di là dagli enti finiti che partecipano all’«essere», l’Uno-Dio è il fondamento separato, il principio assoluto, sussistente e trascendente; l’Ipsum-esse partecipato dagli enti, il quale non è propriamente ente, ma è piuttosto l’Essere al di sopra e di là dagli enti. Dio si identifica pertanto non con l’ens, bensì con «un Super-Ens» che non ricade nel neoplatonico Unum, ma si qualifica come Ipsum esse subsistens, astratto dai limiti dell’ens (Di Napoli 1954, p. 26810Di Napoli, G. (1954) L’essere e l’uno in Pico della Mirandola, Rivista di Filosofia Neoscolastica, XLVI: 356-389.).

Platone e Aristotele coincidono, ma contro e al di là dell’ambiguità del neoplatonismo o dell’accademismo dogmatico. Che il De Ente et Uno abbia un intento anti-neoplatonico e anti-ficiniano è evidente già dal secondo capitolo, ove Pico insiste sul valore dialettico del Parmenide contro il valore dogmatico attribuito al dialogo da Plotino. Ciò che Pico ha interesse a negare è la superiorità dell’Uno sull’Ente e la caratterizzazione, teologica, sostenuta da Ficino, di Dio come l’Uno. Una lettura «dialettica» del Parmenide e un’istanza anti-neoplatonica e anti-ficiniana, che è stata interpretata come esito dell’influenza tomista sulla teoresi pichiana (Di Napoli 1954, p. 387). Per il fatto stesso di non potere essere ricondotto tout-court all’aristotelismo, il pensiero di Tommaso, intriso com’è di elementi platonici, agostiniani, nonché dionisiani, rappresenterebbe il passaggio cruciale in vista di una concordia di Platone con Aristotele, che Pico avrebbe inteso contrapporre all’inverso tentativo ficiniano di una concordia Aristotelis cum Platone. Secondo questa interpretazione, sarebbero stati gli strumenti concettuali del tomismo a dare realizzazione al progetto pichiano articolato sui concetti ontoteologici di ens, di essentia, esse, di ipsum esse. In questa prospettiva, il ruolo di Tommaso sarebbe centrale anche per quanto concerne l’interpretazione dello Pseudo-Dionigi: la soluzione pichiana rappresenterebbe «una sintesi teoretica» tra tradizione aristotelica e tradizione (neo)platonica, resa possibile da una precisa ontologia, quella dionisiana, letta attraverso Tommaso. Una soluzione che, sebbene si esprima nei termini di una theologia negationis, è, in verità, una theologia eminentiae (Di Napoli 1974, p. 26811Di Napoli, G. (1974) Giovanni Pico della Mirandola e la teoresi tomistica dell’Ipsum Esse. In: San Tommaso: fonti e riflessi del suo pensiero, Roma: Città Nuova, pp. 249-281.). La centralità teoretica, accordata al Parmenide da Ficino e negata invece da Pico, sarebbe allora inversamente proporzionale al valore attribuito alle fonti neoplatoniche, fondamentali per il primo, ma messe in secondo piano dall’altro.

Senza nulla togliere alla critica di Pico al neoplatonismo del Ficino, la traccia argomentativa del De Ente et Uno non può essere riconosciuta nel ritorno unilaterale all’aristotelismo e al tomismo. In gioco non c’è Tommaso vs. Plotino, ma due prospettive diverse sulla filosofia: per Ficino una philosophia perennis; per Pico una concordia philosophorum. Sulla base di esigenze filosofiche diverse, entrambi si confrontano con tradizioni sfaccettate e irriducibili a prese di posizioni univoche, alle quali attingono gli argomenti più funzionali alla difesa della propria, peculiare, filosofia.

Un ritorno unilaterale ad Aristotele segnerebbe l’abbandono di quell’opzione concordista che ispira la filosofia stessa di Pico e non, semplicemente, la sua ricostruzione del passato filosofico; al contrario il motivo della concordia philosophorum (et maxime Platonis et Aristotelis) è precisamente l’istanza che Pico professa di voler seguire fin dalle prime pagine del trattato. In altre parole, il dipanarsi di un processo interpretativo che rilegge e trasforma il passato filosofico è parte costitutiva della proposta filosofica pichiana; una proposta originale, che non può essere risolta in nessuna presa di posizione univoca rispetto alle tradizioni. Così se il pensiero di matrice aristotelica è imprescindibile, non minor ruolo ha Platone nella riflessione pichiana. E infatti il De Ente et Uno è certamente polemico nei confronti delle teorie plotiniane, ma non del platonismo nel suo complesso (Allen 1998, p. 43012Allen, M. J. B. (1998) Synoptic Art: Marsilio Ficino on the History of Platonic Interpretation, Firenze: Olschki.). Forse era proprio la possibilità di scorgere in certi autori assonanze in grado di conciliarli ad altri l’elemento di valutazione attraverso cui Pico giudicava della grandezza e dell’autenticità di un filosofo. L’interpretazione ficiniana di Plotino, per la veste dogmatica che aveva assunto, restava estranea a questa logica, ma non per questo implicava la negazione dell’intera tradizione neoplatonica. Tradizione che persiste entro la trama del pensiero di Pico determinando, del resto, elementi di contatto anche con le concezioni di Ficino, pur nel contesto di esigenze teoretiche affatto diverse. È così anche nel caso del dibattito sull’Ente e sull’Uno: sebbene quella di Ficino sia «l’interpretazione storicamente più adeguata dell’Uno neoplatonico», il concetto di Dio di Pico è, nei tratti essenziali, identico a quello ficiniano (Beierwaltes 1992, p. 19613Beierwaltes, W. (1992) Pensare l’Uno. Studi sulla filosofia neoplatonica e sulla storia dei suoi influssi, II ed. Traduzione di M. L. Gatti. Introduzione di G. Reale. Milano: Vita e Pensiero.).