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2.4. La natura della verità

Nell’ultimo secolo di ricerca filosofica sono state avanzate diverse teorie circa la natura della verità. Una delle pietre miliari del dibattito sulla verità dell’ultimo secolo è la ricerca dal filosofo e logico polacco Alfred Tarski, che, in una serie di lavori pubblicati a partire dal 1933, ha introdotto un nuovo paradigma di riferimento per l’indagine filosofica e formale sulla verità. Al di là dei suoi risultati tecnici in ambito logico-matematico, che rappresentano un progresso significativo circa la nostra comprensione della struttura e del funzionamento della verità nei linguaggi formali, Tarski è stato il primo ad aver dato una formulazione perspicua ed elegante dell’idea aristotelica di verità come concordanza tra ciò che si dice e ciò che è. Nel libro Gamma della Metafisica (IV, 7, 1011b), Aristotele caratterizza la verità (e falsità) come segue: «dire di ciò che è che non è, o di ciò che non è che è, è falso; dire di ciò che è che è, o di ciò che non è che non è, è vero». Tarski avanza una formalizzazione di questa idea aristotelica che compendia magistralmente nella famosa convenzione (o schema) V:

(V) “p” è vero [nella lingua italiana] se e solo se p.

Dove p è un segnaposto per una qualsiasi frase dichiarativa della lingua italiana. Possiamo sostituire a “p” la frase “la neve è bianca” ottenendo così un esempio particolare dello schema V che chiamiamo “V-neve”:

(V-neve) “La neve è bianca” è vera [nella lingua italiana] se e solo se la neve è bianca.

Assumendo che “la neve è bianca” esprima {la neve è bianca}, ovvero la proposizione che la neve è bianca, (V-neve) può essere trasformato in un principio sulla verità della proposizione espressa dalla frase “la neve è bianca”, che chiamiamo “E-neve”:

(E-neve) {la neve è bianca} è vera se e solo se la neve è bianca.

Il principio (E-neve) è un esempio particolare del principio generale sulle verità delle proposizioni, detto schema di equivalenza, che formuliamo come segue:

(E) {p} è vera se e solo se p.

(E) esprime l’idea che la proposizione che p è vera se e solo se sono soddisfatte le condizioni richieste da quanto esprime (in italiano) la frase dichiarativa “p”. Si noti che nello schema di equivalenza il riferimento alla lingua italiana è stato omesso. Questo perché, come detto in precedenza, le proposizioni sono entità astratte, indipendenti dalle espressioni linguistiche particolari e quindi indipendenti dalle lingue in cui queste vengono espresse. Nell’ambito della discussione contemporanea sulla natura della verità, la quasi totalità delle teorie proposte assume una qualche versione della convenzione (V) o dello schema di equivalenza (E).

Al di là di questo elemento di comunanza tra le varie teorie discusse nel dibattito contemporaneo, vi sono molti punti di divergenza che riguardano, in particolare, il modo di concepire la natura della verità (per un’introduzione alle teorie della verità si veda Volpe 2012). Tra le varie concezioni sulla natura della verità che vengono spesso discusse nel di battito contemporaneo, si annoverano le seguenti: verità come corrispondenza; verità come coerenza; verità come superasseribilità. Quest’ultima sostiene che la verità debba essere definita nei termini di una idealizzazione della giustificazione che un soggetto ha per una certa proposizione. L’idea, in altre parole, è che una proposizione è superasseribile quando c’è una giustificazione speciale per essa, ovvero una giustificazione che non viene screditata in nessuna indagine1INDAGINE – Pratica del raccogliere, soppesare e valutare le prove a nostra disposizione in relazione alla domanda, o alle domande, di nostro interesse, al fine di formarci credenze vere e/o rivedere credenze false su di essa (cfr. Capitolo 3. Indagine). futura (si veda Wright 1992). La concezione coerentista, invece, caratterizza la verità nei termini di una relazione di appartenenza di una proposizione a un insieme privilegiato di proposizioni, ovvero, a un insieme massimamente coerente di proposizioni dove l’aggiunta di una qualsiasi proposizione a tale insieme lo renderebbe inconsistente (per semplicità, contraddittorio). Infine, la concezione corrispondentista caratterizza la verità nei termini di una relazione di corrispondenza tra proposizioni, da un lato, e stati di cose o fatti2FATTI – Anche chiamati “stati di cose”, sono quegli aspetti della realtà che rendono vera una proposizione. dall’altro – dove per corrispondenza s’intende, grosso modo, una mappatura degli elementi della proposizione con gli elementi dello stato di cose descritto dalla proposizione.

Queste tre concezioni della verità, per quanto differenti, si basano sul presupposto monista secondo cui vi sia una sola proprietà della verità, la cui natura è messa in luce in maniera esauriente da una sola delle tre concezioni appena esposte – che devono pertanto ritenersi come alternative l’una all’altra. Per esempio, un monista corrispondentista è colui che sostiene che la verità sia una e che debba essere sempre caratterizzata nei termini di una relazione tra proposizioni e fatti (o stati di cose). A tale impostazione monista si oppone una impostazione di stampo pluralista. Il sostenitore del pluralismo ritiene che vi siano più proprietà di verità, ciascuna delle quali con una sua natura distinta dalle altre. Rimanendo all’interno delle concezioni tradizionali appena discusse, il pluralista sostiene che relativamente a un certo insieme di proposizioni (per esempio, proposizioni della matematica come {la somma di due numeri pari è anch’essa pari}) la verità sia da concepire nei termini di coerenza tra proposizioni, mentre relativamente a un altro insieme di proposizioni (per esempio, le proposizioni della chimica come {l’acqua è un composto in cui i due atomi di idrogeno sono legati all’atomo di ossigeno con legame covalente polare}) la verità sia da concepire nei termini di una relazione di corrispondenza tra proposizioni e fatti. Infine, relativamente a un terzo insieme di proposizioni (per esempio, le proposizioni etiche come {uccidere è sbagliato}) la verità può essere concepita nei termini di superasseribilità. In altre parole, il pluralista ritiene che le tre concezioni tradizionali esposte sopra non siano alternative l’una all’altra. Al contrario, ciascuna di esse offre una concezione parzialmente adeguata circa la natura della verità – ovvero, ciascuna di esse risulta essere adeguata relativamente a differenti insiemi di proposizioni – e sostiene che il monista sbagli nel ritenere che un’unica concezione della verità si applichi adeguatamente a tutte le proposizioni.

Questa breve carrellata di concezioni sulla natura della verità mostra che il panorama filosofico sulla verità è molto variegato e che è possibile parlare di verità in termini molto diversi, andando da un grado di realismo e oggettività forte (teorie corrispondentiste classiche) a posizioni che fanno dipendere la verità dalla disponibilità di giustificazioni (superasseribilità) o che la relativizzano a teorie (coerentismo). Inoltre, la possibilità di sostenere un approccio pluralista piuttosto che monista permette di decidere se queste concezioni possano essere applicate uniformemente o meno su tutti gli ambiti del discorso. Questa flessibilità teorica fornisce gli strumenti concettuali per evitare di cadere in facili dualismi che oppongono da un lato una concezione corrispondentista, appannaggio di un realismo forte (Ferraris 2013), e dall’altro l’idea che bisogna abbandonare il concetto di verità (Vattimo, Rovatti 1983; Vattimo 2009; Gabriel 2013). La ricchezza teorica offerta dall’analisi filosofica sulla verità è quindi un efficace antidoto contro certe confusioni e semplificazioni spesso molto popolari, anche in certa letteratura accademica. Ci occuperemo di alcune di queste confusioni nel prossimo paragrafo.

Continua a p. 3 – 2.5. Alcuni fraintendimenti frequenti sulla nozione di verità