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3.3. La struttura normativa dell’indagine

Una volta stabilito che l’indagine è una pratica governata da norme epistemiche in cui la verità gioca un duplice ruolo (verità come scopo dell’indagine e come standard di correttezza), introduciamo ora più nel dettaglio l’assetto normativo caratteristico dell’indagine. È importante innanzitutto distinguere due aspetti centrali dell’indagine: da un lato, la formazione dei giudizi o delle credenze e, dall’altro, la loro revisione o mantenimento. Pensiamo a un caso d’indagine piuttosto ordinario, ovvero la questione di quale mezzo di trasporto prendere, in giornata, per raggiungere l’aeroporto in tempi brevi e senza spendere tanto. Supponiamo di avere un’ottima base induttiva, ottenuta per mezzo di numerose esperienze passate, per ritenere che tutto sommato l’autobus sia il mezzo migliore in quanto ragionevolmente affidabile e poco costoso. Sulla base di ciò mi convinco che prendere l’autobus sia oggettivamente la scelta migliore per raggiungere l’aeroporto. Tuttavia, mentre sono al bar a prendere un caffè, mi capita di leggere sul quotidiano locale che ci sarà una deviazione nel percorso dei mezzi pubblici in città, per via di una manifestazione sul cambiamento climatico che interesserà proprio la zona di percorrenza dell’autobus diretto all’aeroporto. Questa nuova informazione costituisce un elemento negativo importante che contrasta, e di fatto scalza, gli elementi positivi forniti dalle prove induttive. Bilanciando tutte le prove in mio possesso, abbandono la credenza che l’autobus sia il mezzo più efficiente per raggiungere l’aeroporto e inizio a pensare ad alternative, vagliando i pro e i contro di ciascuna di esse.

Con l’aiuto di questi esempi, possiamo ora fornire una formulazione ragionevolmente precisa delle norme fondamentali di formazione e di revisione delle credenze:

Norma della revisione (N1): a un soggetto è epistemicamente richiesto di rivedere la propria credenza che p se, e soltanto se, acquisisce una controprova che comprometta la sua credenza.

Norma per la formazione della credenza (N2): a un soggetto è epistemicamente richiesto di formarsi la credenza che p se, e soltanto se, acquisisce una prova per {p} e tale prova, al momento della formazione, non è compromessa da controprove.

Queste due norme, assieme al duplice ruolo normativo della verità, ci forniscono solamente la struttura formale della normatività dell’indagine. Non ci forniscono una procedura per identificare le prove e controprove migliori dato un certo contesto in cui l’indagatore si trova nel condurre la sua indagine. Al fine di ottenere tale procedura, ammesso che sia possibile ottenerla, occorre tenere in considerazione tutta una serie di altri fattori normativi che hanno a che fare con il tipo di questione trattata nell’indagine (che può a sua volta coinvolgere questioni relative al contesto, alla situazione psicologica del soggetto, ecc.). Per capire la differenza tra struttura formale e identificazione della procedura, un’analogia può essere utile. Quando ci vengono spiegate le regole per giocare a calcio impariamo cosa dobbiamo fare per vincere (in analogia a cosa conta in un’indagine, ovvero una prova, per credere una proposizione) e perdere (in analogia a cosa conta in un’indagine, ovvero una controprova, per rivedere la credenza in una proposizione). Nell’imparare le regole del calcio non impariamo però ipso facto come vincere una partita di calcio, ovvero non impariamo le strategie e non acquisiamo per questo le abilità che ci rendono capaci di vincere una partita. Per imparare queste strategie e abilità serve esperienza e allenamento. Analogamente, serve cimentarsi nell’indagine per arrivare a identificare le prove pertinenti. Al fine di illustrare il meccanismo epistemologico e normativo di base dell’indagine, astrarremo da questa complessità.

Con questa precisazione, passiamo ora a descrivere le norme. Mentre la seconda norma, N2, ci istruisce su come e quando credere una certa proposizione {p} su cui stiamo indagando, la prima norma, N1, ci istruisce su come e quando rivedere la credenza di una proposizione precedentemente creduta nel corso della nostra indagine. L’idea, in breve, è che i nostri processi di acquisizione, revisione e, per così dire, manutenzione delle credenze devono rispondere adeguatamente alle prove a disposizione – tenendo sempre a mente che una prova a favore di (o una controprova) {p} è una prova a favore della (o contraria alla) verità di {p}. Inoltre, l’espressione “compromessa da controprove” è un modo enfatico per rendere l’effetto epistemico1EPISTEMICO – Relativo a conoscenza o giustificazione. di ciò che nella letteratura specialistica è noto con il termine di epistemic defeaters: si tratta di nuovi elementi probatori – in questo caso empirici – che compromettono la prova che il soggetto ha per credere vero {p}. Ciò avviene qualora si verifichi una delle seguenti condizioni: (i) la nuova controprova è a favore della falsità di {p}, oppure (ii) la nuova controprova compromette la qualità della prova che il soggetto ha per credere che {p} sia vera, senza necessariamente fornire una giustificazione per la falsità di {p}.

Le due norme N1 e N2 – il cui funzionamento all’interno dell’indagine verrà discusso in dettaglio nei capitoli 5 e 6 – riguardano due tipi di prove: la prova a sostegno della verità di una proposizione e la controprova contraria alla verità della proposizione. Come risulta chiaro dalla formulazione di questi due principi, la loro funzione normativa primaria è quella di allineare le nostre credenze alla nostra situazione epistemica e di bilanciare le prove e controprove in nostro possesso. N1 e N2 ci forniscono quindi l’assetto normativo di base per i processi di formazione e revisione delle nostre credenze. Tuttavia, queste due norme non operano in isolamento, ma si integrano all’interno di un quadro normativo più ampio che comprende, tra le altre cose, il duplice ruolo della verità illustrato sopra. In tale quadro può accadere che verità e giustificazione2GIUSTIFICAZIONE – Una ragione a favore o contro la credenza in una proposizione. Il termine “giustificazione” ha un uso tecnico in epistemologia e, a seconda della teoria epistemologica che si adotta, può essere definito in maniera differente. In questo saggio usiamo il termine grosso modo per indicare l’avere ragioni a favore o contro la credenza in una certa proposizione (per un’introduzione alle diverse teorie sulla giustificazione si veda Volpe 2015). entrino in conflitto normativo: sebbene le prove in nostro possesso offrano un supporto piuttosto robusto per la verità di una certa proposizione {p}, tale proposizione potrebbe essere falsa – o, viceversa, sebbene tutte le nostre controprove siano contrarie alla verità di {p}, {p} potrebbe di fatto essere vera.

In tali situazioni, se da un lato al soggetto è richiesto di credere (o rifiutare) {p} sulla base delle prove (o controprove) in suo possesso, d’altra parte, guardando alla norma della verità, tale soggetto non dovrebbe credere (o rifiutare) {p}. Se potessimo adottare un punto di vista epistemicamente ideale – ad esempio, il punto di vista di un essere onnisciente – sarebbe chiaro quale norma abbia priorità, ovvero quella della verità. Tuttavia, siccome ciascun soggetto è epistemicamente situato e non può in alcun modo trascendere tale limite, non resta che appellarsi alla guida della giustificazione, nella speranza che questa ci indichi di fatto la via della verità. Pertanto, sebbene da un punto di vista astratto sia del tutto legittimo e proficuo distinguere tra norme della giustificazione e norme della verità, prediligendo queste ultime alle prime, per un soggetto che svolge un’indagine e che è epistemicamente limitato alle prove in suo possesso, tale distinzione perde di mordente normativo e la strada da seguire è quella indicata dalle prove in suo possesso. Per queste ragioni, nell’analizzare filosoficamente certi fenomeni connessi alla post-verità, si farà riferimento soprattutto all’assetto normativo particolare fornitoci dalle due norme N1 e N2.

Detto questo, occorre tuttavia tenere bene a mente che, sebbene N1 e N2 siano primariamente norme epistemiche, la ragione principale per cui è doveroso seguirle è che in tal modo un soggetto massimizza le probabilità di credere proposizioni vere ed evitare di credere proposizioni false. La verità rimane quindi l’ideale ultimo a cui tendere nel condurre l’indagine. È in questo senso che la verità rappresenta un valore fondamentale e imprescindibile all’interno della pratica dell’indagine. Inoltre, il tipo di valore che la verità rappresenta nel contesto dell’indagine non è meramente strumentale – ovvero, non attribuiamo valore all’avere credenze vere solamente in virtù del fatto che l’avere credenze vere è più utile ai nostri scopi, quotidiani e non, rispetto all’avere credenze false. Certamente, l’avere credenze vere piuttosto che false è spesso utile nell’ambito dei contesti ordinari di azione. Ma normalmente conferiamo valore all’avere credenze vere per il semplice fatto che riteniamo che la verità sia un bene in sé e per sé. Si pensi, ad esempio, a quanta importanza si attribuisce alla ricerca scientifica di base anche nei suoi aspetti meno applicativi, come nel caso della ricerca in matematica pura o di certi ambiti astratti della fisica teorica, come ad esempio la teoria delle stringhe.