3. MACCHINE MOLECOLARI ARTIFICIALI

Dallo scherzo di Feynman al Premio Nobel per la Chimica

L’idea di costruire macchine molecolari artificiali fu teorizzata per la prima volta da Richard Feynman, Premio Nobel per la Fisica, nella celebre lezione There’s plenty of room at the bottom (C’è un sacco di spazio laggiù in fondo) tenuta il 29 dicembre 1959 ad una riunione della Società Americana di Fisica. Nella conferenza, che molti ritengono il manifesto fondativo della nanotecnologia, Feynman si domanda in modo quasi scherzoso: «Quali sarebbero le possibilità di macchine piccolissime? Potrebbero essere utili, o forse no, ma sarebbero certamente divertenti da costruire» (Feynman 1960)1Feynman, R. P. (1960) There’s plenty of room at the bottom, Engineering and Science, 23: 22-36.. Feynman cita la possibilità che dispositivi meccanici ultraminiaturizzati potrebbero essere iniettati in un paziente per diagnosticare o persino riparare malformazioni ad organi interni. Questa idea verrà ripresa pochi anni dopo (1966) nel film Fantastic Voyage (Viaggio allucinante), dal quale discende l’omonimo romanzo di Isaac Asimov. Insomma, negli anni Sessanta del secolo scorso la costruzione di macchine nanometriche, pur essendo un’idea scientificamente valida, appare un argomento più vicino alla fantascienza che alla scienza. Attenzione, però: la storia ha dimostrato in varie occasioni che la fantascienza di oggi può diventare la realtà di domani.

Per uno sviluppo del discorso iniziato da Feynman si dovette aspettare fino agli anni Ottanta, quando un altro fisico, Eric Drexler, prospettò la possibilità di costruire un robot di dimensioni nanometriche che fosse capace di fabbricare qualsiasi cosa – compreso repliche di se stesso – utilizzando come materia prima i singoli atomi (il cosiddetto universal assembler) (Drexler 1986)2Drexler, K. E. (1986) Engines of creation: the coming era of nanotechnology, New York: Anchor books.. Anche Feynman nella lezione del 1959 osservò che «I principi della fisica, a quanto ne so, non negano la possibilità di manipolare la materia atomo per atomo» (Feynman 1960). Questa idea, però, non è mai stata realizzata e, secondo i chimici, non è neppure realizzabile. Essi sanno bene che gli atomi sono specie molto reattive e che, quindi, non possono essere presi da un materiale e portati su un altro, come fossero semplici mattoncini Lego. Anche l’eventuale braccio robotico, infatti, sarebbe fatto di atomi, che finirebbero col reagire con gli atomi che vorrebbe manipolare. Lo stesso Feynman riconosce:

Alla fine, possiamo fare sintesi chimica […]. Il chimico […], al termine di un processo complicato, solitamente riesce a sintetizzare ciò che vuole. Quando riuscirò a far funzionare i miei dispositivi utilizzando la fisica, il chimico avrà capito come sintetizzare praticamente qualsiasi cosa, rendendo inutili i miei sforzi (Feynman 1960).

L’assemblatore universale sembra pertanto destinato a rimanere un oggetto di fantasia, protagonista di racconti come l’esilarante L’ordine a buon mercato di Primo Levi (Levi 1966)3Levi, P. (1966) Storie naturali, Torino: Einaudi. o l’inquietante Preda di Michael Crichton (Crichton 2002)4Crichton, M. (2003) Preda, Milano: Garzanti..

Negli ultimi vent’anni i chimici sono riusciti ad ottenere congegni e macchine a livello nanometrico partendo da molecole programmate e seguendo i criteri della chimica supramolecolare (Balzani 2000; Browne 2006; Balzani 2008; Erbas-Cakmak 2015). Anche se non è possibile imitare nei dettagli quanto avviene in Natura, dove macchine molecolari di una complessità incredibile si formano spontaneamente per autoassemblaggio di molecole programmate, con l’approccio chimico dal basso (Fig. 7 e Fig. 8) si è riusciti a costruire macchine e motori molecolari artificiali abbastanza sofisticati. La fase della progettazione è, ovviamente, molto delicata in quanto debbono essere previsti i seguenti aspetti:

  • 1) il tipo di energia che si vuol usare per fare lavorare la macchina;
  • 2) il tipo di movimento che la macchina deve svolgere;
  • 3) il modo con cui i movimenti possono essere controllati;
  • 4) i segnali che evidenziano i movimenti stessi;
  • 5) la necessità di operare in maniera ciclica e ripetitiva;
  • 6) il tempo impiegato per completare un ciclo;
  • 7) la funzione che può derivare dai movimenti compiuti.

Come abbiamo già visto per le macchine molecolari naturali, i movimenti meccanici implicano sostanziali cambiamenti strutturali e questo risultato può essere ottenuto nei sistemi artificiali solo se almeno uno dei componenti molecolari della macchina è coinvolto in una reazione chimica; occorre, quindi, fornire, sotto una qualche forma, l’energia necessaria (punto 1) per far avvenire la reazione chimica alla base del movimento meccanico, che (punto 2) può essere di vario tipo (ad esempio, rotatorio o lineare) ed il cui controllo (punto 3) può essere effettuato con reazioni chimiche antagoniste. I segnali in grado di evidenziare il funzionamento della macchina (punto 4) provengono da cambiamenti di proprietà del sistema (ad esempio, variazioni di colore) che accompagnano i movimenti, i quali a loro volta, per permettere alla macchina di lavorare in modo ciclico (punto 5), devono coinvolgere reazioni reversibili; la scala dei tempi in cui si completa un ciclo (punto 6) può andare dai picosecondi (10–12 s, cioè millesimi di miliardesimi di secondo) alle ore, a seconda della natura chimica del sistema. Infine, per quanto riguarda le funzioni ottenibili dal lavoro della macchina (punto 7), esse possono essere le più varie, come verrà mostrato in seguito.

Alcuni di questi aspetti, e precisamente quelli relativi al controllo della macchina, ai segnali per verificarne il funzionamento, alla necessità di avere un comportamento ciclico e alla verifica dei tempi di lavoro, sono legati a problematiche che i chimici sono in grado di affrontare con buona padronanza; più critici risultano gli aspetti che riguardano l’energia ed il controllo dei movimenti. Oggigiorno, numerose tipologie di macchine molecolari artificiali sono relativamente semplici da ottenere; la frontiera della ricerca in questo settore, come vedremo nel Cap. 4, si è dunque spostata verso lo studio delle problematiche associate allo sfruttamento dei movimenti nanometrici per applicazioni tecnologiche e mediche.

Al di là dei possibili utilizzi pratici, molti dei quali sono al momento soltanto immaginabili, la ricerca sulle macchine molecolari artificiali ha certamente il merito di aver cambiato in modo radicale il rapporto fra le molecole e gli scienziati. L’introduzione di una mentalità di tipo ingegneristico, infatti, ha enormemente stimolato l’ingegno e la creatività dei chimici. Ciò ha condotto allo sviluppo di nuove linee di ricerca, spesso a carattere fortemente multidisciplinare, che a loro volta hanno generato nuove sfide, creando così quel circolo virtuoso sul quale si basa il progresso scientifico. Queste sono le motivazioni che hanno spinto l’Accademia Reale delle Scienze svedese ad assegnare il Premio Nobel per la Chimica 2016 «per la progettazione e la sintesi delle macchine molecolari» a Jean-Pierre Sauvage, Fraser Stoddart e Ben Feringa (Fig. 17). Il riconoscimento a questi tre illustri scienziati e pionieri del settore testimonia la maturità scientifica dell’idea delle macchine molecolari, nata quasi per gioco nel 1959 e consolidata grazie all’impegno pluridecennale di moltissimi ricercatori in tutto il mondo.

Fig. 17. Il poster celebrativo del Premio Nobel per la Chimica 2016. Copyright © The Royal Swedish Academy of Sciences.