5. CONCLUSIONE

Grazie a milioni di anni di evoluzione, la Natura ha costruito congegni e macchine molecolari capaci di svolgere funzioni complesse ed essenziali per la vita degli organismi. Sono passati solamente centocinquant’anni, invece, dalla nascita della Tavola Periodica degli elementi, icona della chimica. Circa sessant’anni fa Richard Feynman iniziava a parlare (per scherzo) di nanotecnologia e meno di quarant’anni fa veniva inventato il microscopio a scansione a effetto tunnel, che consente di vedere e manipolare molecole singole.
Da circa tre decenni i chimici hanno iniziato a progettare, costruire e studiare nanomacchine artificiali. Dapprima hanno sviluppato sistemi molto semplici e rudimentali; poi, una volta compresi i principi fondamentali che regolano il movimento degli oggetti alla scala dei nanometri ed acquisiti i necessari strumenti modellistici e sperimentali, sono passati alla realizzazione di dispositivi più sofisticati. I ricercatori stanno ora imparando ad integrare le macchine molecolari in strutture organizzate e a farle interagire in maniera opportuna con l’ambiente in cui si trovano, così da ottenere funzioni utili.

Anche se i sistemi studiati finora sono enormemente meno complessi e con prestazioni assai modeste rispetto alle nanomacchine naturali, le ricerche degli ultimi anni dimostrano che con le macchine molecolari artificiali si possono elaborare informazioni, convertire l’energia, sintetizzare altre molecole, veicolare farmaci e costruire attuatori meccanici. Vale la pena citare a questo proposito la riflessione conclusiva contenuta nella motivazione del Premio Nobel per la Chimica 2016:

Rispetto alle macchine che hanno cambiato il nostro mondo dopo la rivoluzione industriale del Diciannovesimo secolo, le macchine molecolari sono ancora in una fase di crescita. Tuttavia, così come all’inizio il mondo rimase scettico di fronte ai primi motori elettrici e alle macchine a vapore, esiste il potenziale per un simile sviluppo dirompente delle macchine molecolari. In un certo senso siamo agli albori di una nuova rivoluzione industriale del Ventunesimo secolo; il futuro mostrerà come le macchine molecolari possono diventare parte integrante delle nostre vite. I progressi compiuti hanno anche portato ai primi passi verso la creazione di macchine davvero programmabili e si può prevedere che la robotica molecolare diventerà una delle prossime aree scientifiche principali (Ramström 2016).

Se al momento possiamo ipotizzare che nel prossimo futuro le macchine molecolari potranno essere usate in pratica in alcuni settori della tecnologia e della medicina, forse le applicazioni più innovative sono ancora oltre la portata della nostra immaginazione. A parte questi aspetti certamente importanti, la ricerca sulle macchine molecolari ha già molti meriti sul piano scientifico e culturale. Innanzitutto essa ha risvegliato la curiosità, acuito l’ingegno e stimolato la creatività degli scienziati (in particolare dei chimici), molti dei quali hanno scoperto di essere, di fatto, dei veri e propri ingegneri molecolari.

In secondo luogo, poiché lo studio delle macchine molecolari coinvolge settori della chimica e della biologia, ma anche della fisica, della matematica, dell’ingegneria e della medicina, scienziati di discipline diverse, anche apparentemente lontane fra loro, hanno cominciato a parlarsi – cosa niente affatto scontata e banale – e ad interagire. Queste collaborazioni “non convenzionali” consentiranno di affrontare sfide importanti, sia ai confini fra le discipline che al loro interno. Nel risolvere problemi aperti ne verranno individuati anche di nuovi, alimentando così il circolo virtuoso alla base del progresso scientifico e culturale, nel quale curiosità, ricerca e scoperta si susseguono senza soluzione di continuità. Lo scienziato è una persona fortunata perché lavora in questo ciclo che nessuno può interrompere: ci sarà sempre qualcosa di nuovo da scoprire, succederà sempre qualcosa di inaspettato, qualcuno avrà sempre una nuova idea. Proprio per questo lo scienziato è anche una persona umile: sa che il mondo è un mistero che lo sovrasta. Joseph Priestley, il primo scienziato ad indagare sulla fotosintesi, espresse questa condizione in maniera egregia:

Più grande è il cerchio di luce, più grande è il margine dell’oscurità entro cui il cerchio è confinato. Ma ciò nonostante, più luce facciamo, più grati dobbiamo essere, perché ciò significa che abbiamo un maggior orizzonte da contemplare. Col tempo i confini della luce si estenderanno ancor più; e dato che la Natura divina è infinita, possiamo attenderci un progresso senza fine nelle nostre indagini su di essa: una prospettiva sublime e insieme gloriosa.

Va infine ricordato che ricerche di frontiera come quella sulle nanomacchine sono quasi sempre condotte in collaborazione fra laboratori di diversi paesi in varie parti del mondo. Fra le attività umane, la ricerca scientifica è fra quelle da più tempo e più estesamente globalizzate. Nella scienza circolano con grande libertà su scala planetaria non solo le idee, ma anche le persone. Nei nostri laboratori, ad esempio, hanno lavorato e lavorano ricercatori europei, americani, indiani, iraniani, cinesi, giapponesi, australiani. Si tratta di una globalizzazione indubbiamente positiva, che ha un valore particolare in un periodo storico come quello che stiamo attraversando, caratterizzato dalla chiusura delle frontiere e dalla costruzione di muri.

Gli scienziati, proprio per la loro posizione di osservatori privilegiati del mondo, sono chiamati ad operare per il progresso non solo scientifico, ma anche sociale ed economico, dell’umanità, nonché per la salvaguardia dell’ambiente. Uno scienziato responsabile, insomma, dovrebbe assicurarsi – o per lo meno preoccuparsi – che ciò che fa sia usato per scopi pacifici e non per la guerra, per diminuire la povertà e non per aumentare i privilegi, per proteggere il nostro fragile pianeta e non per distruggerlo. Albert Einstein diceva: «La preoccupazione per il destino dell’umanità deve essere sempre al centro di qualsiasi impresa scientifica: non dimenticatelo mai, fra i vostri diagrammi ed equazioni».

Questa raccomandazione, naturalmente, vale anche per le macchine molecolari.


RINGRAZIAMENTI

Desideriamo esprimere la nostra gratitudine ai componenti del nostro gruppo di ricerca,
con i quali abbiamo condiviso l’entusiasmo e la fatica nella ricerca sulle macchine molecolari.
Un ringraziamento speciale va a Margherita Venturi e Serena Silvi per aver letto criticamente
il manoscritto e alle nostre famiglie per non averci mai fatto mancare il loro sostegno.