3.5. Scettro di Tutankhamon

La presenza di Aten su questo scettro (Helck 1955-58, p. 2063; Helck 1961, p. 382; Murnane 1995, p. 223), simbolo del potere regale, potrebbe essere significativa. Come il documento precedente, è testimonianza di un periodo transitorio di compromesso, in cui Amon e Aten convivono, sebbene ormai l’ultimo mantenga esclusivamente la sua prerogativa celeste: «Il bel dio, l’amato dal volto luminoso come Aten quando risplende, il figlio di Amon Nebkheperura, vivente per sempre».

L’atteggiamento di Tutankhamon e di Ankhesenamon verso i membri della loro famiglia, ormai deceduti, fu comunque ricco di sfumature diverse. Ad esempio, il fatto che oggetti preparati per il corredo funerario di Neferneferuatem siano stati riutilizzati, circa 10 anni dopo, per la sepoltura di Tutankhamon suggerisce che la sovrana, chiunque ella fosse e ovunque sia la sua tomba, non venne sepolta come re. Ma per quale motivo? Fu Neferneferuaten, subito dopo l’anno 3, a rinunciare alle prerogative regali o fu privata di tali prerogative dopo la sua morte, contro la sua stessa volontà? Inoltre, è al regno di Tutankhamon che si data un altro enigma della fine dell’epoca amarniana, ossia la tomba KV 55 della Valle dei Re a Tebe.
Il corredo e il mobilio rinvenuto al suo interno erano assai eterogenei e comprendevano oggetti appartenuti ad alcuni membri della famiglia di Amarna, fra cui un naos in legno a nome di Tye, vasi canopi a nome di Kya – una moglie secondaria di Akhenaten – e un sarcofago in legno dorato, in origine preparato per una donna (Neferneferuaten? Kya?) e poi trasformato per ospitare il corpo, di cui sono stati rinvenuti i resti scheletrici, del «sovrano perfetto, re dell’Alto e del Basso Egitto che vive di Maat, signore delle Due Terre […], il bel fanciullo di Aten, che vive per l’eternità e la perennità, giusto [di voce] in cielo e sulla terra». Il nome cancellato sarebbe quello di Akhenaten; anche i mattoni magici rinvenuti nella tomba, che, secondo le dottrine funerarie pre-ateniste, dovevano creare uno schermo magico attorno al defunto, sono a nome dell’«osiri, il re Neferneferura, giusto di voce». Nonostante ciò, l’identità dell’uomo sepolto nella KV 55 continua a essere dibattuta, anche se pochi anni fa i suoi resti sono stati oggetto di analisi del DNA, assieme alle mummie di Tutankhamon e di altri membri della famiglia. I risultati confermerebbero che l’uomo rinvenuto nella tomba KV 55 fosse figlio di Amenhotep III e della regina Tye e padre di Tutankhamon (Hawass et al. 2010; Gabolde 2013). Egli è stato dunque identificato con Akhenaten, menzionato verosimilmente nel sarcofago, e di certo nei mattoni magici. Tuttavia, altri studiosi hanno fatto notare come rimanga altrettanto possibile che i resti scheletrici appartengano a un fratello di Akhenaten (Smenkhkara?), in tal caso Akhenaten sarebbe stato zio paterno di Tutankhamon. Diverse sono le domande relative alla tomba KV 55 a rimanere ancora senza risposta. Ad esempio, tra le varie soluzioni proposte sul significato del suo allestimento, è stato suggerito che, a seguito dell’abbandono di Akhetaten, Tutankhamon avrebbe fatto rimuovere i corpi di Akhenaten e di Tye dalla tomba regale (TA 26) per essere trasferiti a Tebe nella KV 55. Dopo la morte di Tutankhamon, la tomba sarebbe stata riaperta per ricollocare altrove la mummia di Tye, forse nella tomba del marito Amenhotep III; in quell’occasione, però, gli uomini entrati nella KV 55 avrebbero provveduto a cancellare simbolicamente l’identità del re (Akhenaten?) danneggiandone il nome e il volto, attraverso la rimozione dei suoi cartigli e l’asportazione della maschera dorata dal sarcofago.
Non conosciamo le ragioni che spinsero Tutankhamon a provvedere al riseppellimento di suo padre e forse anche di sua nonna Tye a Tebe. Non è da escludere che anche altri corpi della famiglia siano stati trasferiti. Non conosciamo neppure se furono Neferneferuaten o lo stesso Tutankhamon a organizzare la sepoltura di Akhenaten nella tomba regale di Amarna (TA 26). L’allestimento delle KV 55 fu forse una semplice dimostrazione della pietà filiale richiesta per tradizione a un buon sovrano, oppure potrebbe essere stato dettato da un mero calcolo politico per togliere qualunque forma di legittimazione a Neferneferuaten. Ma non possiamo certo escludere che la reale motivazione sia stata un sincero affetto da parte della giovane coppia verso i membri della loro famiglia.

Tutankhamon morì dopo un regno di dieci anni, all’età di circa 18-19 anni. Senza figli, fu seguito sul trono dal «padre divino» Ay, il quale, come si confà a un buon successore, si preoccupò di seppellire il sovrano defunto in una tomba della Valle dei Re (KV 62). Ay è senza dubbio una figura controversa. Egli aveva attraversato tutta l’epoca di Amarna, occupando diverse cariche e titoli e divenendo uno degli uomini più potenti del suo tempo. Poiché il titolo di «padre divino», letteralmente «padre del dio», poteva essere adottato anche da membri della famiglia regale – come, ad esempio, nel caso di Yuya, padre di Tye e suocero di Amenhotep III – è stato ipotizzato che Ay dovesse il suo successo al fatto di essere il padre di Nefertiti, e dunque suocero di Akhenaten, oppure in quanto fratello di Tye, e pertanto cognato di Amenhotep III e zio di Akhenaten. Anche nel caso in cui Ay non fosse stato unito da legami di parentela alla famiglia regale, il titolo di «padre divino» fu il preferito tra quelli assunti nel corso della sua lunga carriera, al punto tale da non essere abbandonato neppure una volta divenuto re; esso divenne infatti parte del cartiglio contenente il suo nome: It-netjer Iy netjer-heqa-Uaset, «Padre del dio Ay, dio e sovrano di Tebe».

Considerato l’importante ruolo svolto da Ay durante il regno di Tutankhamon, non sorprende che, una volta divenuto sovrano, egli non si discostasse dalla politica religiosa intrapresa durante il regno del suo predecessore. Gli dei tradizionali avevano ormai riottenuto il loro precedente prestigio e la figura di Aten era sempre più relegata sullo sfondo del panorama religioso egiziano. Secondo le fonti a disposizione, Tutankhamon fu l’ultimo sovrano ad associarsi direttamente, seppure in maniera saltuaria, alla figura dell’Aten, benché ormai spogliato della sua pretesa unicità. Oltre ai testi sopra menzionati, non si può non citare il famoso trono dorato, preparato forse durante il periodo di transizione tra il primo nome Tutankhaten a quello di Tutankhamon. Sullo schienale si trova una scena in puro stile amarniano: il re siede su un trono mentre la regina, in un gesto di delicata intimità, cosparge la spalla del marito con un unguento. Al di sopra, al centro, si trova l’Aten, con il suo nome all’interno di cartigli e i cui raggi discendono sulla giovane coppia, alla quale sono già attribuiti i nomi amoniani Tutankhamon e Ankhesenamon, mentre sul retro dello schienale e sui braccioli i nomi sono ancora quelli atenisti. Se con Tutankhamon, il dio di Akhenaten rimaneva a tutti gli effetti una divinità, ora con Ay si assiste a un ulteriore e drastico ridimensionamento delle sue prerogative. Aten è attestato solo in un unico documento, in cui pare essere inteso come una semplice manifestazione visibile del dio sole, ossia il «disco».