3.6. Sarcofago di Ay

I frammenti del sarcofago (Schaden 1984, pp. 50-53) di Ay provengono dalla sua tomba nella Valle dei Re.

Sul coperchio:

Parole da recitare da parte dell’osiri-re Kheperkheperura, che compie la Maat, giusto di voce: ‘O madre Nut. Possa tu distenderti sopra di me e pormi tra le stelle imperiture che sono in te, ed io non morirò di nuovo’. L’osiri-re, il padre divino Ay, il dio che governa Tebe, ripetutamente giusto di voce, per sempre e per sempre.

Ai piedi del sarcofago vi è un’immagine di un disco solare affiancato da due urei, con l’iscrizione: «Il Behdita [= Horo], che è nel suo sarcofago».
Alla testa del sarcofago, un’altra immagine di un disco solare con due urei presenta l’iscrizione: «Atum che è nel suo disco (aten)».

Ay morì dopo circa quattro anni di regno e fu seguito sul trono dal generale di Tutankhamon, Horemheb, ultimo re della XVIII dinastia. Una volta incoronato, egli sposò una donna di nome Mutnedjemet, con ogni probabilità da identificare con l’omonima sorella di Nefertiti. In tal caso, attraverso l’unione con una delle ultime donne ancora vive della famiglia di Akhetaten, Horemheb, che non era di sangue regale, avrebbe contribuito a legittimare la sua presenza sul trono d’Egitto. Durante il suo regno l’allontanamento dall’esperienza di Akhenaten divenne definitivo. Horemheb è infatti ritenuto il maggior responsabile della distruzione degli edifici eretti da Akhenaten; diversi blocchi provenienti da templi dell’Aten a Karnak e Amarna furono riutilizzati dal nuovo faraone per la costruzione di suoi edifici a Ashmunein e nella stessa Karnak. Egli inoltre non esitò a usurpare in maniera massiccia monumenti e statue di Tutankahmon – tra cui la stele della restaurazione – sostituendone il nome con il proprio. Neppure fu risparmiata la memoria di Ay, il cui nome e le cui immagini furono deliberatamente danneggiati all’interno della sua tomba regale.

Fig. 19. Tomba di Panehsy (TA 6) (Davies 1903-08, vol. 2, tav. VII): vedi approfondimento in Appendice.

Tuttavia, il rinvenimento di due frammenti a nome di Horemheb nel Grande Tempio ad Amarna (Petrie 1894, tav. XI; Pendlebury 1951, tav. LX) testimoniano una qualche forma di venerazione verso il dio Aten. Se così fu, l’interesse del re per questa divinità non andò mai oltre i confini di Akhetaten. Anzi, nessun documento del suo regno è stato sinora rinvenuto in cui Horemheb si associ all’Aten; gli unici testi a suo nome che menzionano questa divinità risalgono al periodo precedente alla salita al trono. Nella sua tomba di Saqqara, fatta costruire quando era ancora generale e decorata durante i regni di Tutankhamon e Ay, egli dichiara di essere stato inviato come «messaggero del re sino ai limiti del sorgere di Aten» (Martin 1974-89, vol. 2, pp. 78-84, tav. 91); in una stele del British Museum, il generale adora invece diverse divinità, fra cui «Atum-Horakhty, quando tu appari dall’orizzonte del cielo. L’adorazione di te è nella bocca di ognuno, essendo tu perfetto e giovane come Aten» (Helck 1955-58, pp. 2094-2099). Ancor più interessante, a mio avviso, è una sua statua oggi al Metropolitan Museum di New York (Helck 1955-58, pp. 2089-2094), le cui iscrizioni contengono una formula d’offerta agli dei Ptah, Sekhmet, Ptah-Sokar e Osiri1Vedi Glossario – OSIRI: Una delle divinità più importanti e popolari del pantheon egiziano: la sua natura era infatti connessa a differenti e fondamentali aspetti delle dottrine regali, funerarie e della fertilità. La sua origine è oscura; man mano che il suo culto si diffuse in tutto il paese, egli si assimilò a molte altre divinità, assorbendone le prerogative. Come sovrano d’Egitto, fu assassinato da suo fratello Seth. Grazie all’aiuto delle sorelle Isi e Nefti riuscì a risorgere nell’aldilà dando vita al suo successore, Horo, il quale intraprese una guerra contro Seth. Dopo la sua morte e rinascita, Osiri si ritirò nel mondo dei morti, divenendone il signore e giudice. Uno dei suoi centri di culto principali fu Abido. affinché essi garantiscano che il ba di Horemheb possa «uscire di giorno per vedere Aten», un testo chiaramente reminiscente delle dottrine funerarie ateniste. L’ostilità nei confronti di Akhenaten continuò con gli immediati successori di Horemheb. Non avendo figli, egli scelse come erede il generale Paramessu, futuro Ramesse I (1292-1290 a.C. circa), originario del Delta orientale. Si trattava, per la terza volta consecutiva, di un faraone che non proveniva dalla famiglia regale. Alla morte di Ramesse I, avvenuta dopo un regno brevissimo, il trono passò, da padre in figlio, prima a Sety I (1290-1279 a.C. circa) e poi a Ramesse II (1279-1213 a.C. circa). Anche quest’ultimo contribuì allo smantellamento di Akhetaten, riutilizzando numerose talatat2Vedi Glossario – TALATAT: Blocchi di pietra di piccolo formato, circa 52x26x22 cm e dal peso di circa 40 kg, utilizzati come mattoni. Il fatto di utilizzare blocchi dalle medesime dimensioni permise di costruire edifici in maniera molto più rapida. per alcune sue costruzioni a Karnak e Hermopoli, non lontana da Amarna. Tuttavia, la demolizione degli edifici della città dell’Aten era solo un aspetto della condanna per l’operato di Akhenaten; l’esperienza di Amarna doveva infatti essere estromessa del tutto dalla memoria storica del paese.

Le liste regali presenti sulle pareti dei templi di Sety I e Ramesse II ad Abido, contenenti i nomi, uno dopo l’altro, di alcuni dei loro predecessori, passano dai regni di Thutmose IV e Amenhotep III a quelli di Horemheb, Ramesse I, Sety I e dello stesso Ramesse II, omettendo non solo il nome di Akhenaten, ma anche quelli di Smenkhkara, Neferneferuaten, Tutankhamon e Ay, ossia un periodo di circa 30 anni, che venne inglobato, in maniera fittizia, nel regno di Horemheb, presentato come un periodo di circa sei decadi.

Si tratta di una presentazione ufficiale, ma alterata, della storia del paese. Akhenaten aveva minato alla base alcuni principi fondamentali della religione egiziana. Già nella stele della restaurazione di Tutankhamon, poi usurpata da Horemheb, il suo regno fu recepito e presentato come una minaccia alla ormai millenaria tradizione del paese. La damnatio memoriae inflitta ad Akhenaten, un sovrano fra l’altro legittimo, fu una deliberata distorsione della realtà storica, politicamente motivata dalla volontà di distruggere un’esperienza ritenuta pericolosa per la civiltà egiziana.

E il dio Aten? I testi delle tombe dei funzionari ad Akhetaten avevano sottolineato quanto il re e il dio fossero uniti l’uno all’altro. Le parole rivolte ad Akhenaten lasciate dal ciambellano Tutu nella sua tomba suonano alquanto profetiche: «fino a che Aten esiste, tu esisterai», anche se, in realtà, sarebbero state più precise in senso opposto: Aten ha trionfato fino a che è vissuto Akhenaten. Con la scomparsa del sovrano e la salita al trono di Tutankhaten, che si apprestò ben presto a divenire Tutankhamon, Aten iniziò a essere respinto anche da coloro che ne avevano abbracciato la fede in epoca amarniana. Ma la divinità non sparì del tutto. Il suo culto sembra essere sopravvissuto a Menfi almeno sino a circa cinquant’anni dopo Akhenaten: un papiro della Biblioteca Nazionale di Parigi menziona infatti un «tempio di Aten» ancora attivo sotto Sety I (Löhr 1975, pp. 146-147). Il suo nome inoltre continuò ad apparire non di rado nei testi religiosi sino all’epoca greco-romana, anche se ormai spogliato di ogni prerogativa. Egli, più che una divinità vera e propria, tornò a essere quello che era alle origini: un nome, un appellativo per indicare una tra le innumerevoli manifestazioni visibili della divinità solare.

Grazie alla propaganda messa in atto dai suoi successori o forse per un generale malcontento verso la sua politica – o forse per entrambe le cose – l’antipatia per Akhenaten assunse una dimensione collettiva. Non solo il suo nome scomparve dai documenti ufficiali, ma persino i singoli individui esitavano a menzionarlo direttamente, un atteggiamento in linea con la damnatio memoriae operata dalla corona a partire dalla stele della restaurazione. Un’iscrizione nella tomba di un certo Mes dell’epoca di Ramesse II riporta una disputa giudiziaria datata all’anno 59 di Horemheb nella quale i querelanti cercano di entrare in possesso di un’eredità. Un testimone, dovendo far riferimento a episodi accaduti durante il regno di Akhenaten, è talmente restio a pronunciarne il nome da dichiarare che gli avvenimenti in questione ebbero luogo «al tempo del nemico di Akhetaten» (Gardiner 1905). In una lettera di epoca ramesside, relativa a una registrazione di tasse, alla richiesta della data di morte di un uomo di nome […]nekht si risponde che «egli morì nell’anno 9 della ribellione» o del «ribelle» (seby) (Gardiner 1938).

Tuttavia, un qualche ricordo sopravvisse. I testi di Amarna non dovettero essere del tutto sconosciuti se una statua privata di epoca ramesside, rinvenuta nel tempio della dea Mut a Karnak, riporta passi identici a quelli presenti in un inno sulla porta d’ingresso della tomba di Panehsy a Akhetaten (Assmann 1980). Inoltre, nonostante la damnatio memoriae ufficiale, negli archivi regali il ricordo di Akhenaten e dei suoi successori si conservò per secoli. Circa mille anni dopo il regno di Akhenaten, il sacerdote egiziano Manetone, vissuto all’inizio dell’epoca della dinastia tolemaica, ricevette l’incarico dalla corona di scrivere in greco una storia dell’Egitto antico, suddivisa in dinastie. L’originale dell’opera di Manetone, gli Aegyptiaca, non si è conservato; rimangono diversi estratti presenti nelle opere dello storico giudeo-romano Giuseppe Flavio del I secolo d.C. e di altri autori. La parte relativa alla XVIII dinastia, seppure mal conservata, riporta il nome di Oros, derivato da Uaenra, appellativo di Akhenaten molto usato nei testi, e di «sua figlia, Akenkheres», forse Ankh(et)kheperura Neferneferuaten. Ma al di fuori degli archivi regali, nel corso dei secoli e ben prima che la civiltà dell’Egitto antico giungesse al termine, il paese aveva dimenticato Akhenaten e i suoi successori e sarà solo a partire dal XIX secolo che, grazie all’archeologia, il sovrano fu riscoperto, apparendo in tutta la sua originalità.